di Renato Boccardo*
Nella lettera apostolica Pacis nuntius, con la quale lo proclama patrono d’Europa, Paolo VI definisce san Benedetto messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà. Ma quale può essere il cammino per realizzare questa civiltà? L’esperienza di Benedetto è stata quella di comunità di autentici credenti, da cui è scaturita una corrente di umanità: “Acquista la pace in te, e migliaia la troveranno attorno a te” diceva san Serafino di Sarov.
Il card. Joseph Ratzinger affermò a Subiaco: “Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo a risalire alla luce e a fondare” una comunità a Montecassino, “la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli” (1° aprile 2005).
Il Santo di Norcia ha cementato in Europa quell’unità spirituale in forza della quale popoli divisi sul piano linguistico, etnico e culturale avvertirono di costituire un unico popolo. Da dopo la caduta del muro di Berlino, si procede sulla strada della globalizzazione, cioè dell’unificazione virtuale, culturale, economieo-finanziaria nella quale ci muoviamo.
Ma la globalizzazione è avvenuta in modo non sintonico con un processo di avvicinamento spirituale. C’è mia lontananza umana e spirituale tra popoli pur resi più vicini (e anche confusi) dalla nuova situazione. L’Europa ha perso – e talvolta anche rinnegato – le sue radici. Le radici non sono archeologia, ritorno al passato, un muro dietro cui proteggersi; le radici esprimono uomini, donne, comunità fondate in qualcosa di verace. La grande tentazione europea è invece quella di chiudersi di fronte a un mondo forse ritenuto troppo grande e invasivo.
La fede cristiana chiama a non vivere per se stessi. Scrive l’apostolo Paolo: Cristo “è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro” (2Cor 5,15). Il richiamo al Vangelo, portato dall’apostolo Paolo dalla Grecia a Roma, radicato dai figli di Benedetto in tante parti d’Europa, inquieta – e giudica – la “cultura del vivere per sé” nella quale il nostro Continente sembra sprofondare sempre più.
La prospettiva non può essere solo l’espansione economica. Vivere solo per sé è frutto di una logica puramente mercantile. Il materialismo pratico, dopo quello marxista, domina tanta parte del costume europeo; il mercatismo divora gli spazi del gratuito nella vita sociale. E così assistiamo alla crisi della comunità, familiare e locale. Anche il giusto perseguimento dei propri interessi ha bisogno di spirito e di generosità.
Nel Novecento i Paesi europei, ammalati di nazionalismo, sono andati alla guerra degli uni contro gli altri. Quanti dolori e quante vite perdute! Oggi siamo in un’altra stagione: la cultura del vivere per sé conduce all’egoismo nazionale e locale, all’assenza di visioni. Ma, a forza di vivere per sé, l’uomo muore; si spegne un paese, una comunità, mia nazione. E così l’Europa rischia il congedo dalla Storia.
Ma il mondo ha bisogno dell’Europa, del suo umanesimo, della sua forza ragionevole, della sua capacità di mediazione e di dialogo, delle sue risorse, della sua intraprendenza economica, della sua cultura. Quale viatico per il nostro Continente, allora, risuona sempre attuale l’esortazione di san Benedetto: “Soccorrere i poveri, visitare i malati, aiutare chi è colpito da sventura, consolare gli afflitti, nulla anteporre all’amore di Cristo.
Adempiere quotidianamente i comandamenti di Dio, amare la castità, non odiare nessuno, non alimentare segrete amarezze, non essere invidiosi, non amare i litigi, evitare vanterie, nell’amore di Cristo pregare per i nemici, ritornare in pace con l’avversario prima del tramonto del sole. E non disperare mai della misericordia di Dio” (Regola, IV, passim).
*Arcivescovo di Spoleto-Norcia presidente Ceu