La luce sembra essere il tema dominante anche di questa prima parte del Tempo ordinario. Il vecchio Simeone la contemplava nel bambino Gesù presentato al tempio, mentre lo offriva a noi. Il tempo di Natale, come una cometa, ha accompagnato la nostra vita di credenti. Questa luce non è un entità astratta, è “Cristo luce del mondo”, come ci ricorda il sacro ministro che apre la grande Veglia pasquale.
Gesù è la luce
Il Vangelo di questa domenica è introdotto dal versetto dell’alleluia: “Io sono la luce del mondo, dice il Signore; chi segue me, avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Questa autorivelazione di Gesù, come ci ricorda il Vangelo di questa domenica, è trasmessa a coloro che lo seguono: “Voi siete la luce del mondo” (Lc 5,14). Una trasmissione che avviene per contatto.
È ancora la Veglia pasquale a rappresentare visibilmente questo passaggio, quando il ministro si ferma nel buio della chiesa e lascia accendere le candele dei fedeli. Il Cristo “Luce da Luce” è Luce per le genti, che partecipano della medesima luce per essere luce del mondo e per il mondo. È compito della luce illuminare, per questo è posta in alto e non viene coperta da un recipiente rovesciato (moggio) per impedirle di fare luce (Lc 5,15).
La similitudine con la città posta sul monte rende ancora più evidente il ruolo di guida e di attrazione verso l’alto. Non è un paradosso questa immagine dei cristiani così descritti da questo Vangelo?
Questo protagonismo non si contrappone all’umiltà e mitezza propostaci da Gesù? Sì, lo diventa ogni volta che leggiamo le parole isolandole dalla Parola, che è Gesù Cristo, dal suo volto tracciato dal Vangelo delle Beatitudini e dalla totalità del Mistero pasquale espresso nel Triduo santo e annunciato nel giorno dell’Epifania: “Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto”. Se l’immagine della luce e della città alta sul monte rivela la necessità della testimonianza, l’immagine del sale esprime la modalità di essere testimoni.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro del profeta Isaia 58,7-10SALMO RESPONSORIALE
Salmo 111 (112)SECONDA LETTURA
Dalla I Lettera di Paolo ai Corinzi 2,1-5VANGELO
Dal Vangelo di Matteo 5,13-16
Sale della terra
Quale è il sale che non perde sapore, che non diventa insipido (Lc 5,13)? Quello che fa il sale: sciogliersi per dare sapore, lasciarsi assorbire per far risaltare il sapore dei cibi. Se il sale si fa “superbo” pensando di essere lui il sapore, viene gettato via insieme ai cibi divenuti immangiabili. Oppure, se non si lascia sciogliere, rimane inutilizzato e, ormai vecchio, non sarà più capace di dare sapore, ha perso la sua sapidità e quindi verrà gettato via.
Il Vangelo di questa domenica in pochi versetti e con alcune immagini ci mette al riparo da ogni parziale interpretazione sull’identità del credente: si è luce solo passando attraverso la capacità di perdere se stessi (sale), perché si vedano le opere buone, rese possibili dalla macerazione del nostro egoismo (Lc 5,16).
Il Vangelo ci spinge ancora oltre: le buone opere sono possibili perché il nostro “spossessarci” rende possibile la dimora di Cristo in noi, unico Signore ai cui rendere gloria. Ne è ben consapevole Paolo, che nell’annunciare il mistero di Dio non si appoggiò alle sue doti umane (1Cor2, 1-2) ma il suo annuncio fu una sola cosa con il Signore Gesù: “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me” (Gal 2,20).
Se il Vangelo delle beatitudini, mirabilmente sintetizzato in questa domenica, si legge in sovrapposizione al Vangelo delle opere di misericordia (Mt 25,3148) e declinato nella concretezza della prima lettura (Is 58,7-10), allora la luce sorgerà come l’aurora: solo tali gesti brilleranno nelle tenebre, non la nostra voce che proclama.
Annuncio e testimonianza
Il Vangelo è una persona, la voce è un annuncio, ma la vita è la Parola. Gesti e parole intimamente connessi (Dei Verbum, n. 2) sono la sintesi che rende credibile la nuova evangelizzazione, o meglio l’evangelizzazione di sempre, così come ci ricorda san Paolo VI nella Evangelii nuntiandi al n. 41: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, e se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”.
Non si può separare l’annuncio dalla testimonianza, e quest’ultima passa quasi sempre dal Venerdì santo della vita. Non esistono “scorciatoie” per contemplare il mattino di Pasqua, che nella sua bellezza mostra anche le ferite del Venerdì santo. Questo è il Mistero pasquale da annunciare; e se diviene criterio di lettura della nostra vita, abbiamo la certezza che ogni Venerdì santo avrà il suo mattino di Pasqua.
Solo il nostro egoismo prolungherebbe la notte del dolore senza un’aurora di salvezza.
Don Andrea Rossi