La ricerca della nuova destinazione di una chiesa sconsacrata, quindi ridotta a uso profano, deve far parte di un progetto di cui sia protagonista la comunità ecclesiale in dialogo con la comunità civile.
E se in alcuni casi la “desacralizzazione” è legittima, non è mai ammissibile la dissacrazione. Queste in sintesi le indicazioni fornite dal presidente del Pontificio consiglio della cultura, card. Gianfranco Ravasi, presentando i contenuti delle linee guida del Vaticano sull’argomento, appena pubblicate.
In pratica, il documento prevede questi possibili iter per una ex chiesa: luogo di formazione per futuri preti; inventario e catalogazione dei beni culturali; coinvolgimento della comunità cristiana locale per definire la destinazione d’uso; dialogo con le istituzioni civili.
Restano preferibili finalità culturali, sociali e caritative; da escludersi invece gli utilizzi commerciali. Le reliquie che erano custodite sugli altari dovranno essere collocate in nuovi altari o in reliquiari.
Abbiamo intervistato il card. Ravasi, che ha anzitutto fatto presente: “Il patrimonio ‘nobile’ andrà conservato e tutelato così com’è, anche se non più destinato al culto. In caso di edifici ‘dispersi’ e privi di qualità simbolica la desacralizzazione è legittima; ciò che invece non è mai ammissibile è la dissacrazione.
Non deve pertanto scandalizzare i fedeli il fatto che uno di questi spazi venga destinato a un uso non sacrale, a condizione che non sia dissonante con la realtà originaria del tempio: musei, biblioteche, archivi, centri culturali e d’incontro anche per la comunità civile, ma anche segni caritativi. Penso ai pranzi per i poveri nella basilica di Sant’Eustachio o a quello che la Comunità di Sant’Egidio organizza a Santa Maria in Trastevere il giorno di Natale”.
Che cosa direbbe a chi definisce “dissacratorie” queste iniziative?
“Non si tratta di dissacrazione. È piuttosto una sorta di ‘desacralizzazione temporanea’ che però in ultima analisi partecipa dello spirito della liturgia, la quale non è soltanto il culto, è opera di un popolo, di un’assemblea. Una destinazione ‘altra’ che però riguardi la comunità fa parte dell’anima della liturgia; è una sorta di para-liturgia, una continuazione della liturgia in altra forma. Del resto, san Francesco affermava che era lecito alienare beni della Chiesa e oggetti sacri per finalità caritative, e ce lo ha ricordato anche Papa Francesco nel Messaggio inviato al convegno”.
Al convegno è stata sottolineata l’importanza di coinvolgere la comunità cristiana.
“Le linee guida raccomandano infatti il coinvolgimento di tutta l’assemblea, dell’intero popolo di Dio per evitare che, pur nel rispetto della normativa canonica, l’alienazione di una chiesa e la sua nuova destinazione siano un ‘colpo di mano’ del vescovo o del parroco. La decisione deve essere il più possibile condivisa, e assunta in dialogo con la società civile.
Talvolta, infatti, a battersi contro la dismissione sono gruppi di non credenti. In alcuni casi si tratta di manovre strumentali per dimostrare il degrado del clero o della Chiesa; in altri di persone che, pur non mettendo piede nel tempio, lo considerano il simbolo del quartiere, un emblema incastonato nel tessuto urbano. Le raccomandazioni invitano inoltre a tenere conto, in ogni decisione, del contesto generale del territorio, delle dinamiche sociali e delle strategie pastorali.
La dismissione e la ricerca della futura destinazione devono far parte di un progetto del quale sia protagonista la comunità ecclesiale in dialogo con la comunità civile, coinvolgendo anche le figure professionali di riferimento – specialisti del patrimonio, architetti, operatori sociali del territorio – per sottolineare la finalità anche sociale di questa trasformazione. Preferibili gli usi culturali, sociali o caritativi; da escludersi ogni utilizzo commerciale con finalità speculative”.
Giovanna P. Traversa