Se il battesimo ha sostanzialmente a che fare con il lavacro nell’acqua, che senso hanno i riti di ingresso di questo sacramento? Perché non ometterli? Oppure, dove sarebbe meglio svolgerli?
Bisogna uscire un po’ dalla logica di porre attenzione solo alle parti del rito centrale, che costituisce il sacramento del battesimo, e che sono essenziali per la sua validità. Occorre scoprire l’importanza di tutti i gesti rituali che lo compongono, in modo da evitarne una svalutazione sia teorica sia pratica.
Tutto nella celebrazione di un sacramento è importante, nulla può essere tralasciato, perché tutto ci parla dell’opera che Dio sta compiendo nell’uomo e per l’uomo! Di questi, talvolta trascurati, fanno parte i segni, i gesti e le parole che aprono il rito del sacramento del battesimo, chiamati “riti di accoglienza”.
Si compongono di un dialogo con i genitori e il padrino e/o madrina e del segno di croce sul bambino; e hanno lo scopo di rendere pubblica davanti alla comunità cristiana la volontà dei genitori di battezzare il bambino e, di converso, la volontà della comunità cristiana di accogliere in sé questo nuovo componente.
Il dialogo si apre con l’imposizione del nome: “Che nome date al vostro bambino?”, e già qui potremmo soffermarci a considerare la scelta del nome e le motivazioni della scelta, vedendo quali nomi vengono dati oggi ai neonati. Nella tradizione biblica la scelta del nome non era data da una questione puramente estetica, ma equivaleva a dire l’essenza della persona, la sua natura, anche la sua missione, ma non solo.
Il nome dice appartenenza, chi lo impone afferma la sua sovranità: più e più volte nella sacra Scrittura viene testimoniata questa “legge”. Imporre quindi il nome nel contesto liturgico del battesimo può suggerirci come la creatura che viene presentata appartenga a Dio, perché suo Creatore e Padre.
Il dialogo poi continua con la domande rivolta alla famiglia (“Volete dunque che [N.] riceva il battesimo nella fede della Chiesa che tutti insieme abbiamo professato?”) il cui intento è affermare pubblicamente cosa si chiede per il neonato e richiamare gli interlocutori all’impegno di educare il bambino nella fede.
La fede è un dono, e al tempo stesso è anche un atto umano di volontà. Tanto più il bambino verrà educato a essa quotidianamente, attraverso la testimonianza della famiglia, tanto più un giorno avrà la capacità di confermare liberamente la fede donata. I riti di accoglienza terminano con il segno della croce sulla fronte del bambino, fatto da chi presiede la celebrazione e a seguire dai genitori e da padrino e madrina.
Questo ultimo gesto sottolinea, ancora una volta, l’accoglienza del bambino nella comunità cristiana, come viene affermato dalle parole che anticipano il segno; ma è anche benedizione e appartenenza a Cristo. Questa parte introduttiva del rito dovrebbe svolgersi all’ingresso della chiesa, per evidenziare il senso dei riti che si stanno compiendo: il bambino sta per essere accolto nella comunità cristiana.
Don Francesco Verzini