“Rimediare al clamoroso flop culturale”

Il Governo ha bocciato lo Statuto della Regione dell’Umbria. Il Consiglio dei Ministri ha avanzato rilievi su ben quattro articoli, tra cui quello sulla famiglia e le convivenze. Una decisione inaspettata. Fino ad un certo punto. Analoga sorte è, infatti, toccata allo Statuto della Toscana che aveva sancito il riconoscimento delle convivenze. Non c’è da rallegrarsi per questo risultato. C’è il rischio concreto di vanificare il lavoro fatto negli ultimi tre anni. I Gruppi consiliari regionali (Rifondazione comunista in testa) hanno materia per riflettere sugli errori fatti. Se avessero più attentamente valutato i motivati suggerimenti loro pervenuti, non avrebbero formulato un articolo sulla famiglia decisamente ambiguo e a rischio di incostituzionalità, come rimarcato in occasione dell’incontro del 9 luglio scorso alla sala Capitini di Perugia promosso dal laicato cattolico in vista della seconda lettura dello Statuto. Al di là di questo esito poco consolante, il giudizio complessivo è che l’ultima stesura dello Statuto regionale ha risentito di un dibattito in Consiglio regionale piuttosto frettoloso, specie sulla prima parte. La formulazione dell’art. 2 sull’identità potrebbe andare bene per qualsiasi altra regione d’Italia. Non rappresenta degnamente la peculiarità della nostra regione. Un clamoroso flop culturale – come l’ha definito il presidente della Ceu mons. Chiaretti. Anche i marchingegni adottati sulla forma di governo che determinano l’incremento del numero dei consiglieri regionali non hanno trovato il gradimento dell’opinione pubblica. Certo, la questione del costo della politica va ben oltre l’entità numerica dell’Assemblea regionale. C’è da chiedersi, per esempio, se una piccola regione come l’Umbria possa permettersi oltre 200 enti tra centri, osservatori, comitati, comunità, consorzi, parchi e aziende. È ancora di forte attualità la questione posta qualche anno fa sulla regione “leggera”. Lo Statuto regionale ha sancito appropriatamente il principio di sussidiarietà orizzontale. Tocca però applicarlo. Per ora le cose vanno in ben altra direzione. Nell’ultimo quarantennio si è radicato in Umbria un modello istituzionale socialmente invasivo, spesso centralistico, condizionato dall’intreccio tra burocrazie di partito e burocrazie pubbliche. Si avverte l’urgenza di politiche di sviluppo, specialmente nel campo delle politiche sociali, fondate sul protagonismo delle comunità locali. Invece prevale ancora l’autoreferenzialità delle istituzioni che faticano a rapportarsi con la società civile, nonostante tanta legislatura vigente (legge 328/00, Piani regionali Sociale e Sanitario) incentrata sulla nuova prospettiva del pieno coinvolgimento delle formazioni sociali nella progettazione e gestione dei servizi socio – assistenziali e sanitari. Questo limite è grave e per certi versi autolesionista se si tiene conto delle crescenti richieste di servizi sociali da parte dei cittadini in un quadro di ridotte disponibilità finanziarie pubbliche. In quale prospettiva dovrà ora muoversi il Consiglio regionale dopo la bocciatura da parte del Governo? Valutare attentamente, senza contrapposizioni frontali, le motivazioni tecniche e giuridiche avanzate e attendere le decisioni della Corte costituzionale. Poi rimettere mano al testo statutario avendo cura, questa volta, di prestare maggiore attenzione alle posizioni espresse dalla società civile e dal mondo cattolico. Con la speranza di riuscire ad approvare il nuovo Statuto entro questa legislatura.

AUTORE: Pasquale Caracciolo