Il Vangelo di Giovanni che ci ha accompagnato in queste domeniche ci ha introdotto al mistero dell’amore non con definizioni, ma attraverso le parole di Gesù nei “discorsi di addio”. Nel contesto dell’ultima cena, Gesù ci lascia il suo grande “testamento”, che possiamo approfondire nei capitoli 13-17.
La liturgia, in questa domenica e nella domenica precedente, ci ha fatto ascoltare una parte del capitolo 15. Il fraseggio di Giovanni procede non tanto per passaggi conseguenziali quanto per cerchi concentrici che ritornando sullo stesso tema; e ogni volta si allarga e approfondisce il tema stesso. È una modalità che facilita la contemplazione, che è la via privilegiata per accostarci al mistero dell’amore di Dio.
“Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11). Con queste parole Gesù prepara i suoi discepoli alla separazione da loro. Una prima separazione è la morte in croce; la seconda, totalmente diversa, è la sua ascensione al Cielo.
Dall’allegoria si passa alla vita
Anche noi siamo chiamati a immergersi in questo mistero della nuova presenza di Gesù, che celebreremo domenica prossima nella solennità dell’Ascensione.
“Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9) afferma Gesù nel Vangelo di questa domenica. “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4), ci aveva detto Gesù nel Vangelo di domenica scorsa, spiegando questo legame con l’allegoria della vite e i tralci (Gv 15,1-8).
Dall’allegoria si passa alla vita: “rimanere in”, non è l’indicazione di un luogo, ma la permanenza di un legame che, al contrario della staticità, fa muovere le gambe, perché muove il cuore.
“Rimanere in” lui, per “andare con” lui là dove egli ci indicherà. Questo legame è la condizione necessaria per la realizzazione di ogni progetto di Gesù, che è sempre un progetto d’amore. In lui ha inizio ogni progetto, e in lui ogni progetto ha il suo compimento, ma nel cammino non ci lascia soli: “Rimanete in me e io in voi” (Gv 15,4) è la garanzia necessaria per “rimanere nella gioia” e camminare nella gioia, affinché sia piena (v. 11).
Nella relazione la preghiera incontra la volontà del Padre
Il Vangelo di domenica scorsa ci ricordava che, se il legame tra la vite e i tralci rende visibile il legame tra Gesù e i discepoli (v. 5), il rapporto tra l’agricoltore e la vite (v. 1) descrive il legame tra Gesù e il Padre. Gesù esplicita questo rapporto nel Vangelo di questa domenica: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi” (v. 9).
È dentro questo legame che si comprende la duplice affermazione che chiude sia il Vangelo di domenica scorsa che quello di questa domenica: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto” (v. 8); “perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda” (v. 16).
È dentro questa relazione che la nostra preghiera diventa tutt’uno con la volontà del Padre e supera la semplice richiesta di ciò di cui abbiamo bisogno, per immergersi nel vero desiderio: il bisogno di Lui.
L’amore non si conquista, ma si accoglie
Ma l’amore di cui ci parla Gesù è ben diverso dalla concezione emotivo-sentimentale con cui spesso viene confuso. Il Vangelo ci ricorda che l’amore ha un’origine, è lui ci amati per primo e ci ha scelti: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”, e per questo può dirci: “Rimanete”.
L’amore non è una conquista, ma un accogliere il dono che Gesù ci ha fatto: la sua amicizia (Gv 15,14). E l’amore di cui ci parla Gesù è tremendamente concreto, scevro da ogni sentimentalismo: “Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici” (v. 13).
Fine di ogni ambiguità sentimentalista ed evasione dalla realtà! L’amore è invece un’immersione nella vita reale, che richiede anche una disciplina e una volontà. Gesù stesso applica la parola “comandamento” al concetto di amore: “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore”.
Anche il suo amore verso il Padre è strutturato dall’osservare i comandamenti del Padre (v. 10). Nello stesso tempo, osservare i comandamenti non costituisce la garanzia di poter “conquistare” l’amore. Essi semmai ne sono la custodia: l’amore non si conquista, ma si accoglie.
È l’esperienza che fanno i discepoli
È l’esperienza che fa Pietro e quanti erano con lui, narrata dalla prima lettura.
Lo Spirito santo è effuso anche sui pagani, oltre il confine segnato dalla legge di Mosè che precludeva ai non circoncisi la possibilità di conoscere Dio (At 10,44-45). Pietro aveva intuito la novità che il Signore risorto aveva inaugurato, e trova conferma nell’irruzione dello Spirito anche sui pagani. (vv. 34-35).
Lo Spirito santo sorprende sempre, perché è la perenne novità dell’amore di Dio. Infatti la seconda lettura ci ricorda che “Dio è amore” (1Gv 4,8). Se rimaniamo in Lui, anche noi, oggi, saremo capaci di meravigliarci delle novità che lo Spirito suggerisce alla Chiesa.