Del G8 di Genova è rimasto solo l’eco delle inchieste e delle iniziative giudiziarie. Ma è opportuno andare oltre i drammatici elementi di cronaca e guardare ai fatti da una prospettiva più ampia. Perché il G8 è stato ben altro. Con ben altre prospettive. Anche per il mondo cattolico. Il G8 è stato un’occasione eccellente per riflettere sulla globalizzazione quale segno ambivalente e complesso dei nostri tempi. Essa, infatti, da un lato avvicina le persone e i popoli ed dall’altro esclude molti, creando una sorta di nuovo apartheid.Un’indicazione è emersa con tutta evidenza: la globalizzazione non può essere lasciata al dominio del mercato, ma va regolata e governata attraverso il rilancio della politica. Quale politica? E’ sotto gli occhi di tutti che gli scandalosi squilibri sociali ed economici esistenti a livello mondiale sono dovuti ad un deficit della politica che soffre di una carenza d’etica in chi detiene il potere. Per rimediare ci vuole una rivoluzione etica, una vera e propria conversione della politica alla solidarietà. Come indicato da Giovanni Paolo II occorre globalizzare la solidarietà. Per questo obiettivo il G8, pur con i passi in avanti registrati, da solo non basta. Non si tratta più di aiutare, di venire incontro ai paesi poveri. Si tratta di fare equità, di ridare ciò che è dovuto in termini di giustizia. Solo nel quadro dell’ONU potrà realizzarsi un vasto consenso per passi reali per fronteggiare gli angosciosi problemi della miseria, delle malattie e delle diseguaglianze. La Chiesa ha fatto molto. Con l’esperienza e una storia maturata in tanti secoli di missione vissuta per e con i poveri: i missionari, le iniziative di cooperazione, i gemellaggi tra le Chiese, il condono del debito estero dei paesi poveri posto con forza da anni e specialmente in occasione del Giubileo del 2000, gli stessi viaggi del Papa in tutto il mondo. La dottrina sociale cristiana da tempo ha affrontato le problematiche relative alla mondializzazione: dai documenti conciliari alla Populorum progressio di Paolo VI, alla Sollicitudo rei socialis e alla Centesimun annus di Giovanni Paolo II. La stessa Giornata mondiale della Pace, celebrata il primo giorno dell’anno, spesso ha trattato i temi della giustizia e della fraternità. Forti di questo ricco patrimonio i cattolici a Genova hanno fatto sentire la loro voce, in modo originale. Ben 60 associazioni hanno saputo mettersi insieme e lavorare a fianco degli altri, senza annacquarsi o mimetizzarsi, ma marcando una loro specificità. Hanno fatto proposte di forte spessore contenutistico (un apposito documento è stato consegnato alle autorità) e hanno manifestato all’insegna del più rigoroso rifiuto della violenza. Attestando che la fede cristiana non solo non estranea dai problemi ma pone al passo con i tempi più di altri. Ora v’è una grande responsabilità da esercitare: quella di non sminuire il grande valore positivo dell’iniziativa, facendo sì che la mobilitazione genovese non rimanga una fatto solitario. C’è chi si è chiesto se Genova non abbia rappresentato per i cattolici una nuova fase di mobilitazione culturale e politica. Magari pensando al dopo DC e alla riesumazione della presenza unitaria dei cattolici in politica. Ben altro approccio merita la questione. Io credo che l’iniziativa genovese delle tante e così diverse associazioni cattoliche sia segno di non poco conto di qualcosa che sta succedendo, anche se è ancora presto per sapere bene che cosa e quali possano essere gli sviluppi. Forse questa nuova capacità di stare insieme (specie tra le diverse associazioni giovanili) è frutto del Giubileo, della straordinaria Giornata mondiale della Gioventù di Tor Vergata. Ritengo però che vi siano elementi di novità. Vi sia cioè una coscienza politica più evidente di quanto si pensi. Una consapevolezza che si fa strada: l’idea che l’impegno personale o di gruppo o di associazione (nel volontariato, nella lotta alle vecchie e nuove povertà, nelle ONG che operano nel 3’mondo, nella pastorale sociale e del lavoro, nell’animazione giovanile, ecc.) non sia più sufficiente se non si accompagna ad una spinta pubblica tesa a ridurre gli squilibri che producono emarginazione. Far politica, allora, come nuova frontiera d’evangelizzazione: conoscere e discernere la realtà e organizzarsi lavorando insieme agli altri, nel dialogo e nel confronto, senza illudersi di poter fare da soli. Far politica avendo maggiore coscienza di sé, scoprendo che c’è un’area cattolica che ha il desiderio e la capacità di prendere l’iniziativa, rompendo vecchi schemi e steccati, dimostrando che l’identità sociale e culturale cristiana può essere una risorsa. Il Papa, la Gerarchia ecclesiastica stanno facendo la loro parte: sulla globalizzazione si sta riscrivendo un nuovo capitolo della DSC. Debbono essere però i laici in frontiera a impegnarsi per dare risposte a problematiche e interrogativi nuovi. I cattolici non perdano un’irripetibile occasione per far conoscere e affermare la loro via per una globalizzazione a misura d’uomo.
Riflessioni sul G8 al di là delle violenze
AUTORE:
Pasquale Caracciolo