Sono sempre pochi i fedeli che vediamo accedere al rito della confessione. A cosa si deve questa crisi? E occorre proprio un sacramento per il perdono dei peccati?
A un paio di anni dalla chiusura del Giubileo della Misericordia (20 novembre 2016), torniamo un attimo a riflettere sul sacramento della riconciliazione quale dono elargito dalla misericordia di Dio. Perché farlo?
Perché è sotto gli occhi di tutti che il sacramento con il quale “sentiamo l’abbraccio del Padre che viene incontro per restituirci la grazia di essere di nuovo suoi figli” (Misericordia et misera, n. 8) è tra i meno partecipati. Le motivazioni di questa crisi sono tante e le più disparate: la perdita del senso del peccato, la mancanza di confessori, la convinzione che ci si può confessare e perdonare da soli, vivere la fede in forma intimistica, e così via.
Per questo una rinnovata attenzione al sacramento della penitenza, seppur nella semplicità di qualche riga, può essere di aiuto nel riscoprirne la necessità nella vita cristiana, in modo particolare ora che iniziamo il tempo forte della Quaresima che ci chiama a conversione affinché il nostro cuore e tutta la nostra vita torni sulla strada che conduce all’incontro salvifico con il Signore.
Nei primi capitoli della Genesi ci viene narrato come il peccato sia entrato sin dalle origini nella vita dell’uomo, e come fin da allora Dio mai lo abbia abbandonato; “al contrario, Dio chiama [l’uomo] e gli predice in modo misterioso che il male sarà vinto e che l’uomo sarà sollevato dalla caduta” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 410).
Un esempio ne sono i profeti, sempre attenti nel richiamare il popolo d’Israele alla conversione. Nella stessa scia si trova il Battista e a sua volta Gesù: basti ricordare l’episodio del paralitico a Cafarnao (Mc 2,1-12). Gesù, vedendo la fede dei quattro che sorreggevano il paralitico, tanto da spingerli a scoperchiare il tetto a causa della folla, esclama: “Figlio, ti sono perdonati i peccati” (Mc 2,5).
Dio solo ha il potere di perdonare i peccati, ma, poiché Gesù è il Figlio di Dio, ha sempre esercitato questo potere. A sua volta il Figlio ha conferito tale potere agli uomini, affinché la Chiesa sia “il segno e lo strumento del perdono e della riconciliazione che egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue” (CCC, n. 1442).
Nell’apparizione del Risorto narrata da Giovanni (20,19-25), dopo l’incontro con Maria di Magdala, Gesù entra nel luogo dove gli apostoli erano riuniti e soffia su di loro lo Spirito, dicendo: “Ricevete lo Spirito santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” ( Gv 20,22-23).
La Chiesa non è mai venuta meno alla missione consegnatale dal Risorto di manifestare, con il ministero della riconciliazione, la vittoria di Cristo sul peccato. Lo fa nel battesimo, come già affermato da Atti degli apostoli : “Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei peccati” (2,38); nella celebrazione eucaristica quale “sacrificio di riconciliazione” (Preghiera eucaristica III); e nel sacramento della penitenza, “perché i fedeli caduti in peccato dopo il battesimo riavessero la grazia e si riconciliassero con Dio” ( Rito della penitenza , n. 2).
Don Francesco Verzini