“Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”. I discepoli, obbedienti alle parole che Gesù (“voi rimanete in città”), si erano fermati a Gerusalemme. Anche quel giorno si erano raccolti nella “sala al piano superiore, grande, con divani e cuscini” per celebrare la Pentecoste, memoria della consegna a Mosé delle tavole della legge. Si legge in un commento giudaico al libro dell’Esodo: “La voce di Dio al Sinai si divise in settanta lingue perché tutte le nazioni potessero comprendere”. I discepoli, assieme a tutti gli ebrei, ricordavano questo evento, ma tra loro, impauriti com’erano dalla fine del loro maestro. Certo, l’unica cosa che li teneva insieme era il ricordo di Gesù. Forse, ricordavano bene le parole di Gesù: “Dove sono riuniti due o tre nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.
Fin dal primo giorno, in effetti, le misero in pratica: perseveravano nello stare insieme in preghiera, assieme alla Madre di Gesù. Ebbene, quel giorno, mentre si trovavano assieme, venne all’improvviso un rombo come di vento che si abbatté sulla casa e la riempì tutta. E apparvero anche “lingue come di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno”. Vento e fuoco, simboleggiavano lo Spirito santo che scendeva su di loro e prendeva possesso dei loro cuori: da quel momento quegli uomini, spaventati e prigionieri di se stessi, vennero scossi come da un terremoto; uscirono dal chiuso della loro vita, e furono capaci persino di parlare lingue che non conoscevano: erano le lingue del mondo intero. Fu grande lo stupore di coloro che li ascoltavano: “Costoro che parlano non sono forse tutti galilei? E allora com’è che li sentiamo parlare la nostra lingua nativa?” L’autore degli Atti elenca i paesi di origine di coloro che si erano radunati a Gerusalemme.
C’era tutto il mondo allora conosciuto; eppure ognuno sentiva annunciare il Vangelo nella propria lingua. È l’opposto di Babele. A Gerusalemme, in quel giorno, nessuno prevalse su un altro: i tanti popoli presenti, senza rinunciare alla loro cultura e alle loro tradizioni, ascoltarono lo stesso Vangelo, ciascuno nella propria lingua. La Gerusalemme della comunione iniziava a cancellare la Babele della confusione orgogliosa. Non a caso, perciò, l’evento della Pentecoste sta all’origine della Chiesa, anzi dà inizio alla Chiesa e ne specifica la vocazione: ogni comunità cristiana, deve essere tutti i giorni una Pentecoste.
È lo Spirito, infatti, che aiuta i discepoli ad uscire da se stessi e a renderli testimoni sino ai confini della terra e capaci di annunciare lo stesso Vangelo in lingue e culture diverse. La comunione non annulla la diversità. Oggi, in un mondo che somiglia molto più a Babele che a Gerusalemme, è sempre più urgente che si realizzi il miracolo della Pentecoste. È urgente che avvenga una Pentecoste tra le nazioni. Troppo spesso, l’affermazione di se stessi porta a quella confusione che conosce solo la lingua delle armi. È necessario che la Pentecoste si realizzi a ogni livello di convivenza umana, da quelle più piccole alle più grandi.
Non basta il terremoto che ha fatto crollare i muri delle ideologie che si dividevano il mondo; c’è bisogno di un altro terremoto spirituale, che passi dentro il cuore dei singoli individui, di ognuno di noi, che sconfigga i particolarismi ciechi e violenti. Allo spirito dell’individualismo deve subentrare lo Spirito di comunione. In tal senso la Pentecoste non è relegata ad un solo giorno; deve estendersi a tutto l’anno. L’esperienza dello Spirito e dell’amore di Dio apre i cuori, fa scavalcare i confini angusti e trasfigura la Babele che è in noi in una nuova Gerusalemme.