Abbiamo lasciato Gesù che ha appena subito una grossa sconfitta. Si è addirittura meravigliato per l’incredulità dei suoi compaesani, dai quali è stato rifiutato, e non ha potuto compiere alcun miracolo per la loro poca fede. Mentre quelli della sua famiglia e della sua patria non gli danno fiducia, Gesù si fida dei suoi discepoli. Non ha paura di affidare a loro tutto quello che ha, e che ha caratterizzato la sua missione fino a quel momento. Tutto ciò che è suo, ogni suo potere, viene ora passato di mano, affidato gratuitamente ai Dodici, e così comprendiamo l’insistenza di Marco nel dire che Gesù “incominciò” a mandare i Dodici a due a due (Mc 6,7).
La novità di quanto accade nel Vangelo di oggi sta proprio in questo semplice gesto, ma tanto complicato perché comporta un distaccarsi da quanto si possiede. Per fare un banale confronto, basti pensare alla fatica e al timore di un padre quando deve dare ai figli le chiavi della sua auto, appena questi hanno preso la patente… Gesù per la prima volta carica alcuni dei suoi di gravi responsabilità. Ha chiamato i discepoli per farli diventare pescatori di uomini (Mc 1,16ss), ha percorso con loro diverse strade della Galilea; li ha difesi davanti ai farisei che li accusavano (2,23-28), e infine tra questi ne ha scelti Dodici perché “stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (3,13-19). Questi hanno sentito molti suoi insegnamenti, soprattutto le parabole sul regno che Gesù annunciava, e hanno visto molti miracoli da lui compiuti. Non hanno ancora dato prova di una fede grande (cfr. 4,40), ma Gesù deve comunque averli ritenuti pronti per la missione.
Arriva il tempo – per tutti i discepoli – in cui non si può solo ascoltare o imparare, ma si deve restituire quanto si è ricevuto. Da quanto apprendiamo col brano odierno, Gesù invia i suoi in missione con tre compiti precisi. Il primo è annunciare la conversione, ovvero il Vangelo del regno. Ai discepoli viene così affidato lo stesso compito che Gesù ha svolto appena dopo aver preso la parola: i Dodici “predicavano che la gente si convertisse” (6,12), come Gesù, all’inizio del suo ministero, diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (1,15). I discepoli, come secondo compito, eserciteranno l’autorità sugli “spiriti immondi”.
Anche qui assistiamo allo stesso schema dell’inizio della missione del Messia: Gesù, appena aperta la bocca per annunciare il regno, compie proprio l’esorcismo su uno ‘spirito immondo’ nella sinagoga di Cafàrnao (1,23). Infine, anche i discepoli sono inviati per guarire gli infermi. Gesù l’ha fatto varie volte all’inizio del suo ministero, partendo proprio dalla cerchia dei discepoli, guarendo cioè la suocera di Pietro (1,29-30). Ora, anche i Dodici possono ungere i malati e guarirli (6,13). Scopriamo così che nelle parole e nei gesti dei Dodici si riproduce esattamente – e nell’ordine! – la missione che il Messia ha fino a quel momento portato avanti; le stesse cose che Gesù diceva e faceva ora sono compiute e dette dagli apostoli.
Vi è qui qualcosa di straordinario, che non finisce di stupirci. Si tratta del mistero della continuità tra la persona di Gesù Cristo e quello della Chiesa da lui fondata. Pensiamo solo un momento che cosa avrebbe significato se Gesù non avesse voluto comunicare il dono che egli aveva, o non fosse stato capace di farlo. Gesù sarebbe stato ricordato come un grande predicatore e un bravo guaritore, e la sua figura sarebbe stata probabilmente assimilata a quella dei vari profeti itineranti che percorrevano la Palestina di quel tempo. Non è così; tutto quello che Egli aveva, l’exousia (Mc 6,7: facoltà, capacità, autorità, potere; cfr. anche 1,22.27; 2,10) di liberare dal male, guarire e predicare, ancora circola nelle vene della comunità che porta il suo nome.
Pure il rifiuto ha caratterizzato il ministero del Messia, ed ecco che allora può accadere anche ai Dodici di dover trovare la porta chiusa. Questi, che devono andare a due a due come prescritto dalla Legge (che richiedeva la testimonianza di almeno due persone, cfr. Dt 17,6), sanno sin dall’inizio della loro missione che qualcuno non li riceverà, o non li ascolterà. Quello che devono fare, è andarsene e scuotere la polvere dai loro calzari, a testimonianza per loro (Mc 6,11). Cosa significa questo gesto? “Scuotere il fango (Marco), la polvere (Matteo e Luca) da sotto i piedi era un gesto simbolico che ogni israelita compiva quando lasciava la terra pagana: ora diventa il gesto del cristiano non accolto, un gesto di separazione che sarà testimonianza di accusa nel giorno del giudizio” (E. Bianchi). Ma il rifiuto non ferma la Chiesa che annuncia. Anzi: dopo la Pasqua, essa sarà capace di estendere fino ai confini della terra la Parola, per annunciare non più solo il regno vicino, ma anche un Risorto da morte.