“Non bisogna tacere di fronte al male”: nel Messaggio per la Quaresima, diffuso a inizio febbraio, Benedetto XVI stigmatizza quella “mentalità che, riducendo la vita alla sola dimensione terrena, non la considera in prospettiva escatologica e accetta qualsiasi scelta morale in nome della libertà individuale”. “Una società come quella attuale – è la denuncia del Papa – può diventare sorda sia alle sofferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e morali della vita. Nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità” e scongiurare così il pericolo di una sorta di “anestesia spirituale”. “Oggi – sottolinea il Papa – si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così deve essere nella comunità cristiana”, ammonisce il Santo Padre, ricordando che Cristo stesso “comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato”, e che il verso usato per definire la correzione fraterna “è il medesimo che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male”. “Fissare lo sguardo sull’altro, prima di tutto su Gesù, ed essere attenti agli uni verso gli altri, a non mostrarsi estranei, indifferenti, alla sorte dei fratelli”: questo, in sintesi, l’invito del Papa, che esorta a “prendersi cura dell’altro” a partire dalla consapevolezza che “l’altro mi appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza”. “La nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male”, afferma Papa Benedetto, per il quale “sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale”. Spesso, invece, “prevale l’atteggiamento contrario: l’indifferenza, il disinteresse, che nascono dall’egoismo, mascherato da una parvenza di rispetto per la sfera privata”. “L’essere fratelli in umanità e, in molti casi, anche nella fede – dice il Papa – deve portarci a vedere nell’altro un vero alter ego, amato in modo infinito dal Signore. Se coltiviamo questo sguardo di fraternità, la solidarietà, la giustizia, così come la misericordia e la compassione, scaturiranno naturalmente dal nostro cuore”. Come affermava Paolo VI, “il mondo è malato” soprattutto per la “mancanza di fraternità”: l’attenzione all’altro, invece, “comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale”. “La cultura contemporanea – aggiunge – sembra aver smarrito il senso del bene e del male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince, perché Dio è buono e fa il bene. Il bene è ciò che protegge e promuove la vita, la fraternità e la comunione”. La “responsabilità verso il prossimo” significa, allora, “volere e fare il bene dell’altro, desiderando che anch’egli si apra alla logica del bene; interessarsi al fratello vuol dire aprire gli occhi sulle sue necessità”. “Che cosa impedisce questo sguardo umano e amorevole verso il fratello?”, si chiede il Papa, per rispondere: “Sono spesso la ricchezza materiale e la sazietà, ma è anche l’anteporre a tutto i propri interessi e le proprie preoccupazioni”. “Mai dobbiamo essere incapaci di avere misericordia verso chi soffre; mai il nostro cuore deve essere talmente assorbito dalle nostre cose e dai nostri problemi da risultare sordo al grido del povero”. Invece, “proprio l’umiltà di cuore e l’esperienza personale della sofferenza possono rivelarsi fonte di risveglio interiore alla compassione e all’empatia”, ha concluso Benedetto XVI, esortando i cristiani a vincere la “tentazione della tiepidezza”.