Sull’esito del processo per l’omicidio di Meredith Kercher, Luca Collodi di Radio Vaticana ha intervistato il prof. Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani. “Questo – ha detto D’Agostino – è un tipico esempio di processo in cui mancano le ‘prove regine’, come la confessione degli imputati, o testimoni oculari. In tutti i processi indiziari resta sempre, e resterà sempre, il dubbio sulla colpevolezza degli imputati; esisterà sempre chi dirà che si sta facendo un’ingiustizia. Da questo punto di vista, non mi meraviglia affatto che un processo, oltretutto anche complicato – per la stranezza di come si è verificato questo terribile omicidio – non possa che dare adito a dibattiti, controversie, interpretazioni che non finiranno neanche nei prossimi giorni e dureranno ancora chissà quanto. In altre parole, bisogna vedere le vicende della giustizia con molta freddezza, anche se mi rendo conto che esortare alla freddezza non vada incontro ai desideri viscerali degli amanti della cronaca nera”.
Il processo Meredith, secondo lei, mette in luce i limiti della Giustizia italiana? “Assolutamente no. La procedura, soprattutto penale, ma anche civile italiana, crea mille problemi, ma questo di Perugia non è un esempio adeguato per puntare il dito contro il sistema giudiziario italiano. Anzi, ritengo che i giudici, capovolgendo il verdetto di primo grado, abbiano dato una buona prova dell’autonomia che si dà tra i due diversi gradi di giudizio, di prima istanza e di seconda istanza. Il problema – ripeto – è della natura stessa del caso e della vicenda processuale, basata tutta su indizi complicati ad analizzarsi e, a volte, addirittura non coerenti tra di loro. Se vogliamo parlar male o addirittura auspicare la riforma del sistema giudiziario italiano, ricorriamo ad altri esempi: non ne mancano”.
Il cammino della giustizia umana resta veramente difficile… “La giustizia umana non solo è difficile, ma qualcuno, in un momento di scoraggiamento, potrebbe anche dire che è impossibile rendere davvero giustizia in questo mondo. Però, aggiungiamo subito che l’immensa difficoltà di rendere giustizia si unisce alla necessità del sistema giudiziario, per garantire un minimo di convivenza ordinata. In altre parole, il processo può anche essere definito un male, ma è sicuramente un male necessario. Dobbiamo anche in questo caso avere quel minimo di obiettività e di freddezza per riconoscere che dei processi non possiamo fare a meno, e non possiamo fare a meno di questi ‘poveri’ giudici, sia togati che non togati, che vengono chiamati a questo compito terribile di giudicare, e che sono i primi, sicuramente, ad avere consapevolezza della loro fallibilità”.