“La nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,21). Il racconto di Matteo di oggi sembra tener presente la luce della vita divina accesa in ogni cristiano col battesimo, e che aspetta di essere rivelata nella risurrezione finale. Gesù come vero uomo era Figlio di Dio, ma la sua realtà divina rimase velata nel suo corpo di carne e solo sul Tabor riuscì a filtrare e ad esplodere davanti agli occhi attoniti dei tre discepoli privilegiati. Ognuno di noi si porta dentro questa luce divina nascosta nella carne di peccato, una luce che un giorno filtrerà dal nostro corpo trasfigurato dalla visione di Dio. “Guardate quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente.
Noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non si è ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3,1-2). Bisognava insegnare ai catecumeni questa meravigliosa verità che li incoraggiava nel cammino verso il battesimo. Presto sarebbero stati abitati da quel mistero di luce che brillò sul volto di Cristo. Il lato oscuro della loro esistenza carnale sarebbe diventato il più luminoso della loro esistenza. Perciò l’episodio della Trasfigurazione era letto in questa seconda domenica di Quaresima. Gesù ha voluto anticipare a metà del suo ministero la luce divina che a Pasqua trasfigurò la sua carne in corpo glorioso. Lo ha fatto per convincere i suoi seguaci che era veramente quel Figlio del Dio vivente che Pietro aveva confessato, quasi inconsapevolmente, poco prima a Cesarea di Filippo (Mt 16,16). Ma lo ha fatto soprattutto per rassicurare Pietro e gli apostoli, spaventati e scandalizzati del suo primo annuncio di passione, di morte e di resurrezione (Mt 16,21-23).
Nessuno poteva spegnere mai la luce divina che abitava Gesù in cammino verso la Pasqua. L’episodio è inquadrato da due coordinate: quella cronologica e quella topografica. È situato sei giorni dopo la confessione di Pietro a Cesarea, dunque nel settimo giorno (lo Shabath), un tempo divenuto sacro per gli ebrei perché dedicato alla contemplazione e all’ascolto di Dio. L’indicazione contiene anche un riferimento discreto alla teofania del Sinai, quando Mosè prese con sé Aronne, Nadab e Abiu e salì sul monte, dove Dio gli si rivelò solo nel settimo giorno in tutta la sua gloria (Es 24,9-16). Il riferimento al Sinai, monte della rivelazione, è rafforzato dalla presenza sul Tabor dei due grandi abitatori della sacra montagna, Mosè ed Elia.
Il monte è sempre legato, in Matteo, ad una particolare rivelazione di Gesù: c’è il monte delle tentazioni che segna la vittoria di Gesù su Satana (4,8), c’è il monte delle beatitudini dove viene rivelata la nuova legge evangelica (5,1), c’è l’alto monte dove Gesù si trasfigura (17,1), c’è il monte della Galilea dove il Cristo risorto si rivela ai discepoli e li invia nel mondo ad ammaestrare le genti (28,16). Per vedere e ascoltare Dio bisogna salire in alto e sottrarsi al fastidioso inquinamento luminoso e chiassoso della valle. La narrazione procede descrivendoci due eventi straordinari: uno legato alla vista, l’altro legato all’udito.
L’evento visibile riguarda la trasfigurazione luminosa di Gesù: “Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” (v. 2). Qui tutto è luce, perché “Dio è luce e in lui non ci sono tenebre” (1 Gv 1,5). Tutto il corpo di Cristo è un incendio di luce che filtra anche attraverso le sue vesti. Il linguaggio umano non ha altre categorie per descrivere Dio. Quel globo di luce che apparve sul Tabor era l’anticipazione della glorificazione del Figlio di Dio realizzata nella sua resurrezione, quando egli è entrato con il suo corpo nella gloria del Padre. È anche garanzia della nostra condizione finale, quando “i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro” (Mt 13,43).
Gli antichi Padri descrivevano la condizione dei credenti e della Chiesa come misterium lunae (mistero della luna), piuttosto che come misterium solis (mistero del sole), in quanto dicevano che il credente e la Chiesa non brillano di luce propria, ma di luce riflessa come quella della luna che riflette la luce del sole, che nel nostro caso è Gesù. Noi siamo figli nel Figlio e sul nostro volto risplende la luce riflessa del Figlio primogenito, fatti a sua immagine e somiglianza. Accanto al Cristo luminoso appaiono Mosè e Elia a conversare con lui. Il contenuto di quella conversazione ci viene rivelato da Luca: “Parlavano del suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme” (Lc 9,31). I due personaggi rappresentano la Legge e i Profeti, cioè le Scritture che hanno rivelato a Cristo uomo la vera strada da seguire per salvare gli uomini: il servizio umile fino alla morte e alla risurrezione. Fu la scelta fatta a conclusione delle tentazioni. Confuso e frastornato, Pietro propone a Gesù di costruire tre tende sul monte per prolungare nel tempo quella visione straordinaria e poterla contemplare a lungo. Proposta inaccettabile, perché le apparizioni di Dio sono rapide e improrogabili.
Nessuno può comandare a Dio di fermarsi. Lo sapevano bene Mosè e Elia, che sul Sinai videro solo Dio “passare” accanto a loro come di sfuggita (Es 33,22; 1 Re 19,11). Nell’esperienza interiore di Dio, bisogna saper cogliere il momento e tornare subito al quotidiano. Dopo la visione rapida scese sul Tabor una nube luminosa che avvolse tutti. Nella Bibbia, la nube è sempre simbolo della presenza di Dio invisibile e inarrestabile. Qui Dio accoglie come in un grande abbraccio tutti protagonisti della scena. Allora il Dio invisibile “parla” come un padre che conversa con i figli. Il Dio invisibile della nube è il Dio che parla, il Dio della Parola; non mostra il suo volto, ma fa udire la sua voce. Quella voce si è incarnata in Gesù, divenuto “Parola di Dio” da ascoltare.
Perciò Dio nella nube dice: “Questi è i mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!” L’invito è per Pietro e i suoi compagni che rifiutavano di ascoltare il Figlio che parlava della sua passione, morte e resurrezione, una prospettiva ostica per loro. Ma quell’invito arriva a tutti noi oggi e sempre: “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio” (Lc 11,28). La reazione dei discepoli fu di paura che piegò loro le gambe, ma subito la mano fraterna di Cristo li rassicurò: “Alzatevi, non abbiate paura”. Gesù non abbandona mai chi sale con lui sul monte per ascoltare Dio. A noi che lo seguiamo portando la sua immagine e la sua parola scolpite nel cuore, dice: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).