Quando la morte scende in campo

È stata una scena che nessuno avrebbe pensato di dover vedere, sabato 14 aprile, nel campo sportivo del Pescara durante la partita con la squadra del Livorno, quando Piermario Morosini è caduto pesantemente a terra e, dopo due tentativi di risollevarsi, è rimasto inerte. Sgomento per la morte di un giovane atleta di 25 anni e perché si è avuta la sensazione che la morte fosse scesa in campo per dimostrare la sua presenza e la sua potenza. Non c’è stato nulla da fare.

Si discute e si discuterà ancora sulle cause e le possibilità di intervento efficace, sulla sicurezza degli sportivi nei vari ambiti dello sport agonistico, professionale, dilettantistico e amatoriale. Ma in quel momento preciso è sceso un gelo e un silenzio surreale che si è velocemente propagato su tutti i presenti.

La morte si è affermata come vincitrice assoluta su quel campo prima e su tutti i campi di calcio italiani poi. Lo sport, con il suo inevitabile e naturale contesto di gioia, grida di incitamento e di partecipazione, di festa o di rabbia, si è sentito sconfitto. Quello che fino a qualche secondo prima sembrava di importanza vitale ha improvvisamente perduto il suo fascino.

La disperazione e il pianto dei giocatori ha commosso l’intero Paese. La morte ha il potere di relativizzare tutto e di aprire l’uomo alla ricerca del senso della vita, togliendo il velo delle illusioni e delle ipocrisie e richiamando gli spensierati e i distratti alla precarietà e inconsistenza dell’esistenza umana.

Quel silenzio è fonte e inizio di sapienza, o almeno di moderazione e distacco dalla velleità di un mondo perfetto e dai sogni di grandezza e di gloria. Questo discorso vale sempre per la nostra storia quotidiana.

In questo periodo in Umbria abbiamo sperimentato altre vicende che hanno colpito in profondità la coscienza della gente, come l’uccisione di Luca Rosi, e morti accidentali improvvise e impreviste o per droga o per incidenti stradali.

Tragedie che dovrebbero rendere tutti più attenti, accorti, moderati e prudenti. Anche i discorsi di economia e di politica, così surriscaldati e al di sopra delle righe per cui ogni cosa sembra essere una questione, come si dice, di vita o di morte, dovrebbero tener conto che quando la morte è quella vera e reale tutto è diverso, le questioni di vita e di morte perdono la loro urgenza. Nella sua disgrazia, Piermario Morosini ha rivelato una storia personale e familiare con risvolti e caratteristiche di grande rilevanza morale e sociale, e doti di serietà e umanità che sono state descritte e raccontate.

Per questo un commentatore tv ha detto: “I teologi storceranno il naso, ma questa volta mi sento di dire che Dio ha sbagliato bersaglio”.

Non commento e non faccio polemiche con una persona che ha parlato con il cuore ferito. Ma avremmo celebrato invano la Pasqua se non avessimo la luce della fede per sorreggere la speranza cristiana e umana di una sorte di risurrezione e di vita immortale.

A Perugia la vicenda Morosini ha richiamato quella di Renato Curi, stroncato in mezzo al campo a Pian di Massiano durante la partita Perugia – Juventus il 30 ottobre 1977. Aveva 24 anni. Molti, parlando, sentono ancora l’emozione di quel momento.