Non vorrei esagerare nell’idealizzare i politici del passato. Avevano i loro difetti, che un decennio dopo l’altro hanno corroso dall’interno i vecchi partiti e ne hanno provocato il disfacimento. Però certe differenze sono stridenti. Quando ho cominciato a frequentare la Democrazia cristiana, da ragazzino, accompagnando mio padre, e poi come tesserato a partire dal 1963, la sezione del partito si riuniva mediamente due volte al mese, anche più spesso se c’erano scadenze importanti. L’assemblea degli iscritti era affollata e vivace. Si discuteva, si votava. Venivano dirigenti da fuori, spesso anche i parlamentari, sempre a caccia di voti. La elezione del Direttivo di sezione era molto combattuta; poi si eleggevano i delegati al Congresso comunale, al Congresso provinciale, al Congresso nazionale. La divisione in correnti era per certi versi una piaga, ma dava senso e calore al dibattito. Era inconcepibile che uno sconosciuto diventasse non dico senatore o deputato, ma neppure consigliere in un piccolo Comune. Dovevi guadagnarti ogni gradino, uno dopo l’altro, a forza d’impegno politico, di assemblee, di congressi. Il candidato doveva farsi conoscere dai suoi elettori e conoscerli, uno per uno… e non durante la campagna elettorale, ma prima, da anni. Stare in politica voleva dire questo. Forse era tutta una illusione, chissà, ma si aveva la sensazione che la “base” del partito esistesse e che la “base” contasse. E noi eravamo la “base”. Formavamo le nostre idee politiche non guardando dalla poltrona di casa i teatrini di Vespa e di Santoro – sempre uguali come il teatro dei pupi – ma nel calore delle discussioni dal vivo. C’era democrazia in Italia? Sì, perché c’erano i partiti, quei partiti, e funzionavano così, più o meno tutti. Oggi i partiti sono arrivati al degrado, compresi quelli nuovi e apparentemente brillanti. La gente ne è così delusa che vorrebbe farne a meno per sempre. Sbagliato, perché una democrazia non esiste senza partiti. Ma si dovrebbe tornare al vecchio modello, anche se ormai sembra una favola.
Quando la “base” contava davvero
AUTORE:
Pier Giorgio Lignani