L’organizzazione delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2003 “Anno Internazionale dell’acqua”, il che comporta per le istituzioni locali (in particolare Regione, province e comuni) il compito di intraprendere concrete iniziative al fine di tutelare, sempre più e sempre meglio questa straordinaria risorsa. Un compito che parte da un accurato controllo del territorio per concretizzarsi nella rimozione di talune difficoltà che compromettono una corretta utilizzazione dell’acqua e dell’ambiente. Molte le situazioni di “sofferenza”, in questo settore, anche in Umbria. In particolare quella del Tevere, che i nostri antichi amarono definire “biondo” ma che scorre oggi attraverso tutta la regione con il rugginoso colore dell’inquinamento di origine civile ed industriale.Si può dire che la storia dell’Umbria coincide in larga parte con quella del bacino del Tevere con il quale le popolazioni residenti hanno avuto, quasi sempre un rapporto valido ed articolato, fondamentalmente equilibrato dal momento che l’uso che è stato fatto nei secoli di questa basilare risorsa è stato sempre improntato ad una “simbiosi” tale da non comprometterne la qualità. Da qualche decennio, tuttavia, qualcosa è cambiato perché è cambiato l’habitat che circonda il fiume. Lo sviluppo industriale, l’uso sempre più massiccio di fertilizzanti chimici e di pesticidi in agricoltura, la progressione quasi geometrica dei consumi (e di conseguenza degli scarichi civili), hanno portato ad una situazione che, seppure ancora non irreversibilmente compromessa, richiede l’adozione di provvedimenti di tutela sempre più urgenti e indilazionabili. I segni del degrado sono ogni giorno più evidenti: eliminazione progressiva della fauna ittica, trasformazione delle sponde in discariche a cielo aperto, impoverimento della flora rivierasca, indebolimento degli argini. Qualcosa tuttavia, da qualche tempo a questa parte, si sta muovendo. Il fatto più importante è legato alla circostanza che i cosiddetti “addetti ai lavori” siano entrati nell’ordine di idee di considerare il Tevere in una visione unitaria del problema. Volta ad assicurare identica e contemporanea attenzione ai vari aspetti collegati all’uso di risorse idriche (irriguo, idroelettrico, potabile, ecologico, turistico-naturalistico ecc…). Iniziative in tal senso sono state adottate dal Lazio, con l’adozione di un Piano di Bacino del Tevere, e dall’Umbria con un convegno tenutosi ad Umbertide e con un Piano regionale di risanamento delle acque. “Anamnesi” e cure per un malato difficileMa per poter intervenire direttamente sul “paziente” bisogna conoscere con esattezza il suo stato di salute. In seguito alle iniziative citate è stato dato il via ad un programma di lavoro che si è concretizzato nella realizzazione di 28 stazioni di prelievo lungo l’intera “asta del Tevere”, da San Giustino alla confluenza del Nera, che ha reso possibile un monitoraggio periodico del fiume con una campionatura che è stata sottoposta, per l’analisi qualitativa, al laboratorio chimico del Presidio multizonale di Perugia. Le prime analisi hanno fornito dei risultati abbastanza preoccupanti che hanno rivelato come, fino da allora, il Tevere presentasse consistenti segni di degrado per alcuni chilometri a valle del centro abitato di Città di Castello e, successivamente, ad est e sud-est di Perugia dove vengono raggiunti livelli di alto inquinamento nel tratto da Pontenuovo di Torgiano a Marsciano in corrispondenza delle confluenze dei fiumi Chiascio e Nestore: uno stato “pre-comatoso” che viene conservato fino al bacino di Corbara a valle del quale l’immissione delle acque da parte dei fiumi Paglia e Nera contribuisce a migliorarne in parte la condizione generale. “A che punto è il Piano di risanamento?A questo punto si inserisce, naturalmente, il discorso delle cose, fatte e da fare, per risanare il Tevere a monte di Orte, prima del tremendo impatto (dal punto di vista ecologico) con la grande area metropolitana laziale. Come è noto il Piano di risanamento, a suo tempo deliberato dalla Giunta dell’Umbria è stato acquisito anche dal competente Ministero. In esso sono stati previsti tutti gl’interventi per i quali, nel lungo periodo, si prevedeva una spesa complessiva di oltre 300 miliardi ai prezzi di 18 anni or sono. Per la parte concernente le priorità assolute ne sono stati impiegati 100, equivalenti a tutte le entrate proprie della Regione per un anno. Il Piano regionale di risanamento, a tutt’oggi rimasto incompiuto, prevede un triplice ordine di interventi: della Regione (già effettuato nei primi tre anni), dello Stato con un “corposo” rifinanziamento della Legge 650/79 (Legge Merli), a lungo inoperante per esaurimento dei fondi; degli enti locali, per i quali si prevedeva la possibilità di contrarre mutui con la Cassa depositi e prestiti al di fuori dei plafond stabiliti dalle leggi, ponendo a carico dello Stato gli oneri di ammortamento. Risanare, dunque, il Tevere e la sua “asta” è, non solo necessario ma anche possibile, anche se tutti gli adempimenti relativi sono rimasti in gran parte nel limbo delle buone intenzioni. Quelli che mancano sono i finanziamenti che bisognerà pur trovare se non si vuole che il Tevere diventi una sola, gigantesca cloaca a cielo aperto.
Quale futuro per il Tevere? Per “curarlo” urgono fondi
Da un monitoraggio evidenti "segni di degrado". Il Piano di risanamento è ancora incompiuto
AUTORE:
Giancarlo Scoccia