Prospettive di risurrezione

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Giuseppe Chiaretti XXXII Domenica del tempo ordinario - anno C

Camminando verso la conclusione dell’anno liturgico, la Chiesa ci fa gettare di nuovo uno sguardo sul nostro futuro personale di credenti. È commovente il racconto del martirio dei sette fratelli Maccabei, tutti straziati e uccisi uno dopo l’altro per farli abiurare alle loro leggi religiose, mentre la madre li incoraggiava a resistere con parole di fede nella resurrezione per la vita. C’è nelle ferme parole dei sette giovani eroi anche la fierezza e la dignità, che nascono da una fede profondamente e a lungo interiorizzata in famiglia. Anche nella Lettera di Paolo ai cristiani di Tessalonica si rinnova questo appello alla fede “per ogni opera e parola di bene”, e alla preghiera perché la Parola del Signore, fermento d’ogni eroismo, “si diffonda e sia glorificata” al fine di essere “liberati da uomini perversi e malvagi”.

Lo sfondo di questa esortazione è sempre lo stesso: quello del martirio nelle sue varie forme, che fu l’humus nel quale attecchì e si sviluppò la fede cristiana agli inizi e sempre: la croce è per i cristiani sigillo di autenticità e segno di vittoria. In questo contesto si colloca la singolare controversia di scuola, promossa questa volta dai sadducei, una fazione fondamentalista di ebrei zelanti che non credevano nella resurrezione dei morti. Essi chiedono a Gesù di chi sarà la donna avuta per moglie da sette fratelli, morti l’uno dopo l’altro. Caso suggestivo, ovviamente, anche se privo di qualsiasi vero interesse, studiato apposta per mettere in imbarazzo il dialogante, ma non certamente Gesù. Il quale risponde ricordando che i risorti vivono nella casa di Dio perché “sono uguali agli angeli, ed essendo figli della risurrezione sono figli di Dio, il quale non è il Dio dei morti, ma il Dio dei vivi, perché tutti vivono per lui”.

Contestazione risibile quella dei sadducei, ma risposta pregnante quella di Gesù, che parla dei credenti in Dio come di “figli della risurrezione”. Ancora una volta viene ricordato il nostro destino svelatoci dalla fede. La nostra vita terrena perciò non è inutile e senza scopo. Sempre Paolo ci ricorda che “Dio Padre nostro ci ha amato e ci ha dato per sua grazia una consolazione eterna e una buona speranza”. E questa consolazione dello Spirito si riverbera anche nella corporeità. Viene a proposito per questa interazione tra anima e corpo una riflessione del grande teologo italo-tedesco Romano Guardini, che scrive: “Dall’atteggiamento d’un uomo dal cuore buono e libero non solo traspare più ‘anima’ che da un uomo egoista e meschino, ma anche corporeità più vitale.

Inizia a questo punto una nuova scala delle manifestazioni dell’essere: il corpo come tale diventa più intenso e prezioso, quanto più profonda è l’interiorità, più ricca la vita del cuore, più elevata la spiritualità”. La risurrezione, l’abbiamo già detto altre volte, investe tutta la creazione, così com’è stato del corpo umanissimo di Gesù, che, stando alla narrazione degli apostoli che lo hanno verificato di persona, è al di là delle stesse leggi di gravitazione. La grazia di Dio, la sua presenza non solo “con noi” ma “in noi”, nei quali – verità incredibile e consolante! – inabita lo stesso mistero trinitario (cfr. “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui… Il Paraclito, lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”, Gv 14, 23-26), la intensa frequentazione dell’eucarestia, aprono, dice Papa Benedetto nella esortazione postsinodale Sacramentum caritatis (n. 92), la prospettiva del mondo nuovo, del nuovo cielo e della nuova terra, dove la nuova Gerusalemme scende dal cielo, da Dio, “pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 21,2).

AUTORE: Giuseppe Chiaretti