di Daris Giancarlini
Si voterà, forse, nel marzo prossimo. Forse a maggio. Ma la campagna elettorale è partita da un bel po’, forse da troppo. E forse con un eccesso di promesse, se corrisponde al vero che le promesse elettorali dei diversi partiti fanno assommare i costi che ne deriverebbero per la collettività a oltre 40 miliardi di euro. Che non ci sono, e quei pochi che ci sono non sono certo dei politici che lanciano le promesse di tagli di tasse o di contributi una tantum, ma di tutti noi cittadini: che, per un meccanismo elementare, ci ritroveremmo con le tasse tagliate da una parte e aumentate dall’altra per coprire il taglio.
Insomma, una disinvoltura di annunci, da parte dei politici, che forse fa leva su una diffusa ‘distrazione’ di un corpo elettorale obnubilato dal flusso montante delle ‘bufale’ mediatiche e con un senso critico ridotto dagli effetti di una crisi economica che, ancora oggi, continua a mordere dal punto di vista sociale (molti dicono il contrario, ma è una ‘bufala’…).
Ma altri interrogativi riguardano soprattutto le priorità, quell’elenco di cose ‘più importanti’ tra le urgenti che ogni buon amministratore, a qualsiasi livello, dovrebbe sempre aver presente. E allora, se si trova il modo di far rientrare capitali ingentissimi di contribuenti riottosi al dovere fiscale – ed è certo cosa buona – , non si capisce come mai l’intera classe dirigente sia così in difficoltà quando si devono recuperare risorse per fasce sociali disagiate, ad esempio le famiglie che devono assistere in casa, per anni, loro congiunti con malattie gravi e gravissime.
Per non parlare del dislivello che si riscontra tra il capo partito (qualsiasi) nazionale, che prepara il prossimo voto lanciando promesse che sa benissimo non potrà mantenere (o che già non ha mantenuto…) e la sostanziale asfissia programmatica e realizzativa delle varie istituzioni del territorio, dove annunci e promesse non si possono fare per il semplice fatto che le casse di Regioni e Comuni sono desolatamente vuote, da tempo, e senza speranza di essere rimpinguate a breve.
Dunque, attenzione: visto che ogni promessa (elettorale) è debito, ricordiamo chi le spara grosse fino alla presa in giro. E stiamone alla larga. Si chiama democrazia.