di Pier Giorgio Lignani
Le elezioni regionali in Emilia-Romagna sono state un successo per il Partito democratico?Meglio quel vecchio detto “l’ammalato ha preso un brodo”, con cui si intende un sollievo momentaneo che, una volta passato, lascia tutto come prima.
In effetti, il Partito democratico in Emilia si è salvato, ma in Calabria no, come già in Umbria e altrove. E si è salvato al prezzo di prosciugare il suo principale alleato di governo, il Movimento 5 stelle, che appare ormai sull’orlo dell’autodistruzione. C’è stato un certo travaso di voti, ma nel complesso la strana alleanza di governo si ritrova, sulpiano elettorale, ancora più debole.
E più lontana dai risultati delle elezioni politiche del 2018, grazie ai quali ha la maggioranza in Parlamento. Senza contare che i due principali alleati (Pd e M5s) sono assai diffidenti e rancorosi l’uno verso l’altro. E che comunque ciascuno dei due è tutt’altro che compatto e sicuro di sé: il Pd, da quando è stato formato il Governo, ha già subìto un paio di scissioni, e il M5s è in crisi radicale.
Del Partito democratico, e perché sia alla ricerca di una nuova identità e di un nuovo progetto, ho scritto nelle scorse settimane. Quanto al M5s, sta scontando l’errore fatto fin dal suo inizio: quello di aver voluto differenziarsi in tutto dai partiti tradizionali, ripudiandone non solo i vizi e i difetti ma anche quello che avevano di buono, cioè una struttura articolata al centro e alla periferia, processi decisionali regolari e formali, la formazione e la selezione di quadri dirigenti responsabili, e soprattutto una visione progettuale di medio e lungo periodo (la tanto vituperata ‘ideologia’!).
Così i grillini – ma preferisco dire ‘grilliani’ – hanno portato suoi banchi del Parlamento e dello stesso Governo persone scelte quasi a caso, talvolta sconosciute ai loro stessi elettori, prive anche di un linguaggio politico comune che non fosse quello del “vaffa” o di slogan sommari e ambigui. Con queste premesse, il M5s non poteva restare coeso a lungo.