Da qualche anno la Congregazione per il clero, in vista della festa del Sacro Cuore di Gesù, che si celebra il venerdì successivo alla solennità del Ss. Corpo e Sangue di Cristo, invia una lettera a tutti i presbiteri del mondo per ricordare loro la chiamata alla santità. Questo termine un po’ in disuso sembra tornare di attualità. Il Santo Padre lo richiama spesso nelle catechesi del mercoledì e nei documenti ufficiali. La santità della vita è l’obbiettivo di ogni battezzato, come già l’apostolo Paolo ricordava ai cristiani di Tessalonica: “Questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione!” (1 Ts 4,3). Ma per i presbiteri lo è in maniera ancora più specifica e impellente, perché non solo sono esortati a perseguire la santità personale, ma anche a diventare ministri di santificazione per tutti i fratelli affidati alle loro cure pastorali. Con la sua lettera, il cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione, sollecita i presbiteri a rimettere al centro della loro vita e del loro ministero la santità. Nella “società liquida” nella quale siamo tutti immersi e trascinati, in continua trasformazione, per non rischiare di essere travolti, noi diaconi, presbiteri e vescovi dobbiamo tornare alla sorgente del sacramento dell’Ordine e rinverdire, per tenerle sempre deste, le motivazioni che ci hanno spinti a rispondere alla chiamata. Il suggestivo rito dell’ordinazione presbiterale evidenzia l’appello imprescindibile alla santità. Nella lunga preghiera consacratoria il Vescovo, tenendo le mani tese sulla testa dell’ordinando, prega il Signore, Padre santo, anche con queste parole: “Dona, Padre onnipotente, a questi tuoi figli la dignità del presbiterato. Rinnova in loro l’effusione del tuo spirito di santità; adempiano fedelmente, o Signore, il ministero del secondo grado sacerdotale da te ricevuto e con il loro esempio guidino tutti ad una integra condotta di vita”. Mentre unge le mani del presbitero con il sacro crisma, il Vescovo dice: “Il Signore Gesù Cristo che il Padre ha consacrato in Spirito santo e potenza, ti custodisca per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio”. Il cardinale Piacenza, nella lettera sopra citata, scrive: “È questo il nostro stupendo destino: non possiamo santificarci senza lavorare alla santità dei nostri fratelli, e non possiamo lavorare alla santità dei nostri fratelli senza che abbiamo prima lavorato e lavoriamo alla nostra santità”. Quando si parla di santità, sia per i battezzati, sia per i presbiteri, non s’intende quella eroica dichiarata solennemente dalla Chiesa e indicata a modello per tutti i cristiani, ma quella testimoniata da una vita coerente con l’insegnamento di Gesù e tutta tesa a compiere la volontà del Signore nella piena realizzazione della propria vocazione. Più ancora delle parole, serve l’esempio. Solo la concretezza dell’esempio, che deve essere esempio di santità, potrà infatti dare significato alle parole. Se la chiamata alla santità è scritta nel sacramento del battesimo per i fratelli laici, per il presbitero diventa chiara richiesta nel sacramento dell’Ordine, che rende un uomo, debole e fragile, capace di compiere le opere di Gesù diventandone la presenza nella storia. Seguendo il Maestro, il Signore risorto, vincitore del male e della morte, vivendo con Lui e mostrando che con Lui la vita diventa bella e buona: solo così potremo offrire la più alta forma di educazione e cogliere il metodo più efficace per condurre i fedeli verso la comprensione e quindi il desiderio della vita buona del Vangelo.
Preti santi educatori alla vita buona del Vangelo
AUTORE:
Mario Ceccobelli, Vescovo di Gubbio