E’ la chiesa di maggiore importanza della città, eppure S. Croce, dal ’97, a causa del noto sisma, versa ancora in una condizione di precarietà. Non irrilevante, non da sottovalutare. I danni sono gravi. E si continua a ripeterlo: crepe della parete di sinistra, crolli nella volta in controfacciata, il distaccamento dei costoloni dell’abside e allentamenti sul rosone, nonché su determinate zone della facciata; pessime le condizioni del tetto. In previsione ipotetica, ma probabile nella nostra terra, di un nuovo movimento tellurico, la chiesa crollerebbe. E con lei la dimensione storico-artistica più pregnante della città di Bastia. In brevi cenni storici e riassuntivi, la chiesa venne fondata nel 1295, insieme all’annesso convento dei frati minori e vanta l’elegante facciata a capanna che presenta il motivo assisiate a fasce di pietra bianca e rosa di Assisi con portale e rosoni gotici. La chiesa fu restaurata e non adeguatamente nel 1855, a seguito di due terremoti che la distrussero in gran parte. Fu medicata insomma, ma non guarita. Il tetto venne appesantito con travature di materiale non ligneo. Lo stesso problema di S. Francesco ad Assisi. Dal 1962, con la consacrazione della nuova parrocchiale, la chiesa non è più adibita al culto, ma custodisce le opere d’arte provenienti da demoliti complessi cittadini. Tra di esse, importantissima, la “Madonna con bambino fra i SS. Michele Arcangelo e Sebastiano” di Niccolò di Liberatore detto l’Alunno, 1499, determinante anche per essere l’ultima opera datata dall’artista. All’indifferenza o all’impossibilità d’agire fa comunque da alibi la motivazione più risolutiva: mancanza di fondi, nessun finanziamento post terremoto riservato a seconde chiese, in più sconsacrate. “Non appena saranno disponibili, l’amministrazione solleciterà la Regione, come già fatto per S. Paolo, a prevedere una somma per la ristrutturazione della chiesa”. Queste le parole dell’assessore alla Cultura Ermanno Spoto. Intanto si attende e si spera: che i contributi arrivino, che la chiesa non venga giù, che le forze rappresentative della città, in primis la parrocchia, affidataria del bene, “collabori di più con l’amministrazione” come osserva ancora Spoto, “perché se ci fosse anche una spinta, anzi per prima partisse dalle altri istituzioni competenti nell’interesse del progetto, si potrebbe lavorare sinergicamente al perseguimento dell’obiettivo”. Così, mentre si aspetta che qualcuno per primo, prima o poi si muovi, si “sogna” e si prospetta una chiesa-pinacoteca, struttura strategica per iniziative culturali, magari fornita da enti pubblici o da privati di donazioni artistiche, in modo da costituire un ulteriore punto di sosta per il turismo assisano e una possibilità di nuovo lavoro nella città. E su questo quasi tutti d’accordo: la maggioranza, l’opposizione, le associazioni culturali, la commissione diocesana dei beni culturali. Quello su cui non si è d’accordo, a quanto pare, è contro chi scagliarsi. Giuliano Monacchia, rappresentante del partito d’opposizione e professore di Storia dell’arte, ad esempio, se la prende con la Soprintendenza. “I fondi ci sono – asserisce Monacchia – e per certo, ma non sono giustamente e con criterio distribuiti”. L’argomentazione che sostiene la sua presa di posizione è alimentata dalla poca attenzione verificata nei confronti di Bastia e delle piccole risorse artistiche che le competono. S. Croce venne ricostruita a ridosso della prima e più antica cinta muraria, sorta per delimitare i confini di quello che si sarebbe identificato come primo territorio della città di Bastia. Un muro fatto di ciottoli che alternava bastioni (da cui il nome della città) a torrette e dove S. Croce nacque come secondo edificio sacro, con la funzione anche tattica di avvistamento dei nemici e di avvertimento del loro arrivo tramite il suono delle campane. Era infatti simmetrica all’asse dell’arco che conduceva alla chiesa del centro storico, S. Angelo, e per questo nominata alle origini chiesa dell’Aggiunta. La poco professionalità, ancora a detta di Monacchia, già verificatasi nella cura del monastero benedettino e dei resti della cinta muraria che lo cingono, compiuta con un restauro non fedele, è lo stesso termine con cui viene relegata in una zona di non rilevanza quella che è la base del nostro passato, la rivendicazione di un’identità storica e anche l’unico nostro patrimonio artistico, destinato a non mantenersi più tale, quando non gli venga riconosciuta o non venga compresa la sua tipologia caratteristica. Anche Teresa Morettoni, membro della commissione diocesana dei beni culturali delegato ai musei e alle opere d’arte, aveva fatto nuovamente presente la labile situazione alla comunità cristiana durante l’ultimo consiglio pastorale. D’altra parte di appelli ne sono stati fatti e continuano a farsi, “ma è sconcertante come il problema passi inosservato e non ci sia una presa di posizione o un movimento di opinione pubblica, o iniziative varie per sensibilizzare enti preposti”, sostiene la Morettoni. Le prospettive potrebbero essere molteplici: interessare le scuole, “adottare il monumento”, affidarsi alla generosità di sponsor. Tanto più che il prezzo di recupero per un’opera di tale prestigio ammonta ad un miliardo e 200 milioni, non una cifra esagerata visto investimenti più criticabili e meno utili, scelti per Bastia. Infine S. Croce è nel progetto che la diocesi di Assisi sta predisponendo nel circuito museale ecclesiastico, inserito nel network culturale. E’ anche giusto che Bastia consegni alle generazioni future la continuità del suo passato.
Preoccupano le condizioni di precarietà di Santa Croce
La chiesa è stata seriamente lesionata dal terremoto del 1997
AUTORE:
Simona Marchetti