“O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella”, dice il Signore al profeta Geremia chiamato ad avvertire la casa d’Israele perché desista dalla sua iniqua condotta.
Questo monito con cui inizia la Prima Lettura contiene in sé il messaggio principale della Liturgia della Parola di questa 23a domenica del Tempo ordinario: il “potere” della Comunità. La pagina del Vangelo è infatti tratta dal cap. 18 del Vangelo di Matteo, capitolo che riporta il IV Discorso di Gesù definito “Discorso ecclesiale” perché affronta la questione dei rapporti che devono intercorrere tra i membri della comunità “cristiana” e dalla qualità dei rapporti che intercorrono dipende il legame con Dio perché lo “spazio” che Egli preferisce e per cui acconsente alle richieste dei credenti è la comunità. Punto di partenza è il senso di responsabilità che deve caratterizzare il seguace di Gesù: “Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo”.
La delicatezza di questo messaggio sta nel fatto che la correzione deve avvenire in forma riservata e non mirata a condannare il fratello che ha effettivamente sbagliato, ma ad aiutarlo a rientrare in sé. Il verbo greco (elegcho) che viene tradotto con ammonire, ma anche con correggere, convincere, confutare, è preceduto da un verbo di movimento all’imperativo “va!”. La priorità del verbo “andare” fa prendere consapevolezza che non si deve far passare il tempo e aspettare di incontrare per caso l’altro, ma di essere solleciti e prendere l’iniziativa coraggiosa di far ragionare il colpevole rischiando anche di non essere compresi. Al reo spetta di “ascoltare” nel senso biblico del termine, cioè di agire di conseguenza. E poiché colui che ha sbagliato è specificato che lo ha fatto “contro di te”, anche tu rischi di peccare perché potresti covare “nel tuo cuore odio contro il tuo fratello” (Lv 19,17), ma se “ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello” e anche tu sarai salvo! Ma se il peccatore non “ascolta”, si ricorra al metodo tipicamente giudaico di risolvere la questione alla presenza di due o tre testimoni. Se anche così non funzionerà, in ultimo stadio “dillo alla comunità”, dove “comunità” (o ‘chiesa’, Mt 16,18) traduce il greco ecclesìa che si rifà a sua volta all’ebraico qahal, ovvero – rapportato al tempo di Gesù- alla comunità sinagogale.
Queste precisazioni tecniche ci permettono di chiarire il senso del testo che segue. Infatti, se colui che è nell’errore non ascolta l’ammonimento, “sia per te come il pagano e il pubblicano”. In effetti dalla comunità giudaica erano esclusi e anche disprezzati (15,6) i pagani (anche se non se ne escludeva la salvezza in virtù di alcune osservanze, At 15,6) e gli esattori delle tasse. In particolare questi ultimi, alla stessa stregua dei ladri e degli omicidi, non venivano nemmeno considerati atti a testimoniare in tribunale. L’evangelista Matteo ci sta informando su quella che era la prassi comunitaria e, considerando che egli era un esattore delle tasse e perciò conosceva bene le usanze, certamente ha voluto dare risalto al fatto che Gesù ha mangiato proprio con gli esattori delle tasse (9,10) ed ha elogiato la fede dei pagani (8,10) e ad essi ha destinato la missione degli apostoli (28,19). Da una parte il tono dell’esclusione di coloro che sbagliano e dall’altra l’atteggiamento di accoglienza di Gesù.
Dove sta la verità? In entrambe le risposte. Da una parte, al fratello che è nell’errore, spetta di essere cercato dai credenti e, attraverso tutti gli atteggiamenti umani possibili – l’amicizia, il pasto condiviso, l’aiuto, …, (come Gesù con i pubblicani e i pagani) – essere condotto a ravvedersi; dall’altra, a colui che non vuole “ascoltare” spetta la libertà di non essere più interessato a far parte della comunità. Fondamentale è che i credenti non siano prevenuti nei riguardi di nessuno! Questo messaggio ci porta a considerare l’importanza e l’insostituibilità della comunità tanto da avere il potere di “legare” e “sciogliere” sulla terra e nel cielo, come a dire che ciò che decide la comunità dei credenti lo approva anche Dio! La conseguenza è che quanti si “accordano” (gr. symfoneo), proprio come gli strumenti musicali, per creare un’unica e bella armonia dei rapporti umani hanno un tale potere da ottenere dal Padre qualunque cosa chiederanno perché “dove due o tre sono riuniti nel mio nome lì sono io in mezzo a loro”.
La Parola di Dio ci invita perciò a credere che Dio esaudisce le nostre preghiere. É scontato? Il timore di non essere considerati abbastanza intellettuali ci fa venir meno una delle virtù più grandi in nostro possesso: l’umiltà di chiedere! In definitiva tre suggerimenti ci provengono dalla pagina evangelica: la comunità, l’armonia dei rapporti e la preghiera di richiesta, ma irrinunciabile è la comunità. Non più il punto di riferimento identificato con un luogo materiale (il Tempio), ma lo “spazio” che è la comunità dei fedeli i quali non devono essere debitori di nulla a nessuno, “se non dell’amore vicendevole” (Rm 13,9).