di Daris Giancarlini
Vorrei capire come mai la politica italiana negli ultimi 25 anni sia cambiata in modo così profondo, e invece i cosiddetti talk show televisivi siano più o meno sempre uguali a se stessi.
Con voci che si sovrappongono, parlamentari che si insultano, esponenti di partito che svicolano sulle domande dei conduttori, ripetendo a pappagallo slogan che l’ascoltatore potrebbe, azzerando il volume del televisore, ripetere in modo pedissequo da solo. Due modalità, soprattutto, sono riproposte quasi in modo meccanico nei dibattiti tv sulla politica.
La prima è quella che, mentre parla uno di sinistra, quello di destra scuote la testa. E viceversa. E la regia non inquadra chi parla, ma quello che scuote la testa. La seconda modalità è la risata: un politico illustra le sue tesi, e il politico della sponda avversa sogghigna, se non addirittura ride a piena dentatura. E si prende il primo piano. Talvolta, le due modalità si accoppiano, con risata e scuotimento della capoccia insieme. Non credo sia una sorta di ‘par condicio’ delle inquadrature, come a voler equilibrare in contemporanea, e visivamente, le varie opinioni. Mi pare più un modo facile, quasi triviale, di utilizzare coloro che siedono nelle poltrone in studio per far arrivare nelle case dei telespettatori messaggi drasticamente banalizzati. Prevale l’immagine: la parola è morta.