di Pier Giorgio Lignani
“Fa’ ciò che devi, senza pensare alle conseguenze”. A questa grande regola hanno obbedito quelli che ricordiamo come martiri ed eroi, quelli che sono andati incontro alla morte per adempiere il loro dovere.
Ma, come tutte le regole, va intesa con le opportune distinzioni. Vale se le “conseguenze” alle quali non devi pensare sono quelle che ricadono sulla tua persona. Se invece sono quelle che ricadono sugli altri, allora ci devi pensare e come. Anzi, quando si tratta degli altri, il criterio fondamentale per giudicare le tue azioni è proprio la valutazione degli effetti che esse producono. Così almeno diceva, un centinaio di anni fa, il filosofo tedesco Max Weber, che proponeva una nuova “etica della responsabilità” contrapposta alla tradizionale “etica dei princìpi”. Non essendo io stesso un filosofo, non approfondisco la questione.
Mi limito a dire che c’è un campo nel quale davvero quello che conta sono i risultati, e non le (buone) intenzioni, ed è il campo della politica. Come giudicare infatti l’azione politica se non per i risultati che produce per la gente?
Questo tema è di piena attualità, perché in questi giorni i partiti italiani hanno dimostrato – sia pure in diversi modi e in diversa misura – di essere lontani dall’“etica della responsabilità”. Ciascuno si è preoccupato di difendere la propria identità, o più banalmente i propri calcoli a breve e brevissima scadenza, senza curarsi della necessità di dare al Paese un Governo. Non sto dicendo che tutte le ipotesi che sono state via via scartate sarebbero state ugualmente valide; e ammetto che ci fosse qualche buona ragione per dire qualcuno dei “no” che sono stati pronunciati.
Ma avrei voluto che quelli che hanno detto “no” si chiedessero, prima di dirlo, che cosa sarebbe stato dell’Italia il giorno dopo. Che pensassero, dunque, all’interesse dell’Italia prima che a quello del loro partito o della propria corrente.
Questo avrebbe voluto l’etica della responsabilità; o, per usare un altro celebre concetto di Max Weber, l’idea della “politica come vocazione”.