di Daris Giancarlini
“Nel Pd c’è un’entità, che si chiama Renzi, che non si capisce cosa voglia fare e che va avanti per conto suo. È una roba un po’ singolare. È stato un presidente del Consiglio che all’inizio aveva veramente voglia di cambiare l’Italia e che ha fatto cose buone. È un grosso peccato”: parola di Carlo Calenda, che di Renzi è stato ministro, e di un dicastero di prima classe, quello dello Sviluppo economico, pur non essendo iscritto al Partito democratico.
La tessera di questo partito, Calenda (uomo di ottimo curriculum e altrettanto ottime entrature nel mondo economico e finanziario) l’ha presa dopo la sconfitta elettorale del Pd del 4 marzo. In questi mesi, da Calenda è arrivata la proposta di costituire un fronte democratico anti-sovranista.
Una decina di giorni fa, l’ex ministro aveva lanciato la proposta di discutere del futuro del Pd e del centrosinistra in una cena con lo stesso Renzi e con Paolo Gentiloni e Marco Minniti. Proposta che Calenda ha cancellato qualche giorno dopo, dando spiegazioni molto politiche per questa sua marcia indietro. “L’unica cosa – ha detto Calenda – che vuole fare il Pd in questo momento è una resa dei conti fra renziani e antirenziani in vista di un congresso che doveva esserci, per me, settimane fa, e tutto sarà paralizzato in questa cosa di cui al Paese non frega nulla. Nel frattempo, l’opposizione si fa in ordine sparso”. Per Calenda, nel Pd ci sono “troppi ego e troppi conti da regolare”, tanto che, per il ruolo di segretario, “ci vorrebbe uno psichiatra”.
Amarissima l’analisi di Calenda, che denota tutta la delusione di una persona intellettualmente onesta ma forse poco avvezza ai contorcimenti e alle baruffe di un mondo politico, quello della sinistra, storicamente avvezzo più alla distruzione del compagno di partito che alla lotta contro l’avversario.
Meno normale che a formulare giudizi analoghi sul Pd sia lo stesso segretario dem, Maurizio Martina: “Adesso basta, chiedo a tutti più generosità e meno arroganza. Il Pd è l’unico argine al pericolo di questa destra”. Un segretario, Martina, con un timbro di transitorietà troppo forte addosso, se nel fare un appello in vista della mobilitazione del 30 settembre a Roma usa una formula che definire timorosa è eufemistico: “È possibile – scrive Martina sui social – chiedere a tutti i dirigenti nazionali del mio partito una mano perché la manifestazione del 30 sia grande, bella e partecipata?”. Nel frattempo, i sondaggi danno il Partito democratico al 16 per cento. C’è da stupirsi?