Politica. L’Italia non sa bene dove va, ma di sicuro va malissimo

di Daris Giancarlini

Agitarsi nelle sabbie mobili non serve a nulla, se non a peggiorare la situazione: ma proprio questo sta facendo la maggioranza Pd – cinquestelle Leu – Italia viva, che ‘guida’ (sic!) il Paese in questa fase. Un Paese, l’Italia, che “non sa dove andare, comunque ci va”, come recitava una canzone di Francesco De Gregori. Un Paese che l’economista Enrico Giovannini, apprezzato ex ministro del Lavoro, ha definito “senza progetto”.

Proprio nel momento in cui tutti gli indicatori economici, da quello sulla produzione industriale a quello sulla fiducia di imprenditori e consumatori, volgono al molto negativo, facendo prevedere un 2020 addirittura a crescita zero. Molto a causa della congiuntura economica internazionale già da mesi sfavorevole, con il carico da undici del coronavirus a peggiorare ulteriormente il quadro.

Ma moltissimo anche per la carenza totale, in Italia, di scelte politiche che superino il limite del breve e brevissimo termine per disegnare un progetto di più lungo respiro, non piegato alle esigenze della ricerca del consenso immediato. Misure come il Reddito di cittadinanza o quota 100 danno respiro sul fronte della sussistenza quotidiana, ma – i numeri lo stanno dimostrando – spostano poco o nulla dal punto di vista della crescita e dell’occupazione. Certo assicurano voti, ma la prospettiva resta asfittica. E autolesionistica.

L’impressione è che l’attuale quadro politico, maggioranza e opposizione, altro non sappia offrire, impegnato com’è a piantare bandierine, come sta succedendo sul tema della prescrizione, in una ininterrottacampagna elettorale. Con i partiti trasformati in casse di risonanza per i loro leader.

O aggrovigliati in lotte intestine che ne ostacolano la ricerca di un’identità definita. Di Leghe ormai ce ne sono due: quella Nord, con il vecchio leone Umberto Bossi tornato a ruggire sui giornali per richiamare il valore del legame con un territorio, il Settentrione italiano, che è ancora il serbatoio principale anche dell’altra Lega, quella “per Salvini presidente”, più orientata sulla personalizzazione dell’azione politica (del segretario, in concorrenza diretta con la leader Fdi, Giorgia Meloni) e sui temi nazionalisti e sovranisti di destra pura e semplice.

Quanto a personalismo, anche nei cinquestelle non si scherza, vista la prevalenza mediatica di figure come quella di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, non a caso in competizione (non dichiarata) tra loro per la leadership di quello che si continua a definire ‘movimento’ ma che ormai presenta tutti i caratteri – e i difetti – di un partito vero e proprio. Non si placano le lotte interne neanche in quel Partito democratico che pure la scissione renziana ha ‘scremato’ dalla componente più critica nei confronti della attuale dirigenza.

Ma da parte di Zingaretti e degli altri capi Dem resta nebulosa la ricerca di un assetto ideale condiviso. Renzi gioca una partita tutta sua, con un piede dentro e uno – forse fuori dalla maggioranza del Conte 2, allo scopo di assicurare maggiore visibilità alla sua (sua!) nuova formazione. Che nei sondaggi non è ancora riuscita a sfondare il limite del 5 per cento.

Le problematiche interne ai partiti di maggioranza e di opposizione sembrano altrettanti ostacoli a mettere insieme, sugli opposti schieramenti, una visione unitaria, unificante, di sviluppo di un Paese sempre più impantanato nelle contraddizioni di una classe dirigente – non solo politica che, al di là del consenso immediato, sembra non saper proporre soluzioni. Nel timore, forse, di doverne pagare il prezzo in termini di consenso.