di Daris Giancarlini
C’è un futuro oltre il Rubicone? Fuor di metafora, e scrivendo prima di conoscere l’esito del voto regionale in Emilia Romagna – che Salvini ha definito “una sorta di referendum monarchia/repubblica” -, la politica tutta, il Governo nazionale in carica dopo il 26 gennaio (qualunque sarà), si dovrà occupare di problemi che – ha osservato un pezzo da 90 del Pd, Graziano Delrio – “non modificano la loro entità” a seconda di chi vince questa, pur importante, tornata elettorale.
Il primo problema era, è e probabilmente resterà quello del lavoro. In Italia le persone che hanno un’occupazione sono attualmente lo stesso numero di prima della crisi economica, solo che le loro condizioni sono peggiorate, al punto che alcuni economisti parlano di “lavoro povero”. La fascia più bassa delle occupazioni è quella che cresce di più, ma questo implica salari bassi.
E quindi bassi consumi, che portano a scarsità di investimenti. Per non parlare del fatto che la condizione lavorativa ha tutele sempre minori. Dal punto di vista dell’economia, anche se i politici sono poco inclini a parlare di stagnazione e men che meno di regressione, per gli analisti più seri l’Italia è attualmente un Paese in declino. E non si può prevedere se tornerà la crescita, ancora ferma a livelli minimi.
Perché, dalle sabbie mobili della crescita zero, il Paese non è ancora uscito: non soltanto per mancanza di scelte politiche coraggiose ed efficaci, ma anche per il fatto che la stragrande maggioranza delle imprese è di piccole dimensioni.
Un terzo tema tutto italiano, di cui la politica si occupa poco o nulla, è quello della formazione dei giovani. L’Istat, in una sua ricerca, sottolinea il “mismatch” tra competenze e mansioni, segnalando che la maggioranza dei giovani studia materie diverse da quelle che poi servono per trovare lavoro.
Dall’altra parte le imprese, non essendo abbastanza innovative dal punto di visto tecnologico, non cercano laureati troppo qualificati. E se li assumono, non li retribuiscono adeguatamente.
In sostanza, l’Italia non premia i suoi giovani più preparati. Che, infatti, spesso se ne vanno altrove. Tutto ciò ingenera anche la convinzione diffusa – e pericolosissima per qualunque società che voglia dirsi civile – che studiare non serva poi a molto.
Dei giovani – questo è il quarto tema di un’ipotetica agenda di Governo dopo il voto in Emilia Romagna – in Italia si discute poco o nulla. Ma, per molti studiosi, sono loro le principali vittime della crisi economica esplosa nel 2008, che ha allargato le disuguaglianze tra le generazioni, privilegiando gli over-65. Ed accollando sulle spalle delle famiglie il peso dei giovani senza lavoro.
Senza valutare il fatto che non tutte le famiglie sono uguali dal punto di vista delle condizioni economiche. Un Esecutivo intenzionato ad affrontare i veri problemi del Paese dovrebbe occuparsi inoltre di ridurre la famigerata spesa pubblica tagliando gli sprechi. Lo promettono tutti i partiti, poi però la “spending review” non ha il coraggio di farla nessuno. Perché potrebbe costare voti e consenso.
Tanto che secondo diversi analisti – il vero cemento della politica italiana tra elettori ed eletti è il debito pubblico. Infine, ultimo ma non ultimo tema urgente per qualunque Governo che abbia a cuore non la propria sopravvivenza ma l’interesse generale, è quello della lotta all’evasione fiscale (Italia terza in Europa, dopo Romania e Grecia: 90 miliardi di euro evasi nel 2016). Le obiezioni contro i pagamenti con bonifici e carte di credito, che potrebbero rendere meno agevole aggirare il fisco, rischiano di far passare l’idea che gli italiani siano, per indole, un popolo incline a non pagare tasse e imposte.
E che quindi la politica più di tanto non possa fare contro un fenomeno che è di massa, tollerato per convenienza politica, come sottolinea Stefano Feltri in un suo libro. Il quale osserva che a rimetterci sono gli italiani che le tasse le pagano. Quindi, il “di più” che si attende da qualsiasi Governo che voglia mettere seriamente mano ai problemi dell’Italia è il coraggio di pagare dei costi politici per avviare misure e attuare riforme di politica – economica, e non solo – che abbiano un effetto realmente positivo per il rilancio di un Paese in declino.