Da un po’ di anni eravamo abituati a segnare un trend negativo quanto a numero di aborti, cioè una diminuzione, sia pur lieve, di anno in anno. Quest’anno, invece, dalla relazione del Ministero della Salute inviata al Parlamento, circa il numero degli aborti volontari avvenuti nel 2004 (dati pubblicati da Avvenire mercoledì 26 ottobre), si viene a sapere che c’è un aumento del 3,4 per cento, che in termini di interventi è di 4.537 unità. Il totale degli aborti procurati nel 2004 è di 136.715 rispetto ai 132.178 del 2003. La ragione dell’aumento è da attribuirsi al maggiore numero di donne straniere presenti in Italia. Una donna su quattro che ricorre all’aborto è straniera, mentre nel 1998 era una su dieci. Tra le regioni in cui vi è stato un aumento superiore alla media vi è l’Umbria con un bell’8 per cento di incremento. Tutto ciò avviene nonostante lo sforzo a sostegno della vita da parte di enti, organismi e associazioni e soprattutto dell’impegno costante della Chiesa sia sul piano delle idee e dell’educazione delle coscienze, sia sul piano pratico del sostegno a famiglie numerose e madri in difficoltà e sole (vedi articolo a pag. 6). L’opera a favore della vita è purtroppo in parte vanificata dal contrario impegno di coloro che continuano a ritenere l’aborto un diritto civile della donna, la legge che lo consente una conquista di civiltà e coloro che la contrastano degli oscurantisti. Di questo passo si va scivolando verso la banalizzazione di un evento doloroso e tragico, sia perché si sopprime la vita di un essere umano, sia per la sofferenza della donna che decide in tal senso. L’introduzione della pillola del giorno dopo, la RU486, che si è richiesto di sperimentare anche in Umbria va in questa direzione. L’Umbria, così vecchia, avrebbe bisogno di figli, non di pillole abortive. Chi si dichiara contrario a questa pratica medica è accusato di essere contro le donne e di volere che esse almeno subiscano un intervento chirurgico e soffrano un po’ per quello che compiono. Ma è un’accusa assurda. La ragione consiste invece nel fatto che, nella mentalità corrente, l’uso di questa pillola trascina l’aborto nella sfera della contraccezione, che è altra cosa, minimamente paragonabile all’interruzione volontaria della gravidanza. L’introduzione della RU486, oltre al danno morale che rischia di provocare banalizzando l’aborto e quindi la vita umana, è anche contraria alla legge 194 che afferma (ipocritamente?): ‘Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite’ (art.1). Si dice e si continua a ripetere, come ha fatto recentemente il Ds Vannino Chiti, che la Chiesa sbaglia a criticare lo Stato italiano che ‘con le sue leggi non ha esaltato l’aborto, ma ha previsto specifici casi di interruzione delle gravidanze in situazioni nelle quali la clandestinità aveva rappresentato una vergogna della nostra società’. Gli risponde il Presidente della Federazione dei settimanali cattolici, Giorgio Zucchelli: ‘Ma a chi la racconta Chiti? Ti pare proprio che 4 milioni e mezzo di aborti procurati in Italia dal 1978 a oggi siano stati gli specifici casi previsti dalla legge?’. E conclude immaginando un’Italia più vivace, meno vecchia e anche economicamente più ricca, se si fosse attuata una politica più impegnata a difendere la vita che a facilitare la morte.
Più vita, meno pillole
Editoriale
AUTORE:
Elio Bromuri