Festa dell’Ascensione: il dinamismo dell’esistenza è tornato ad invitarci a rivisitare il profilo di fondo della vita. La vita dell’uomo è un diventare quello che l’uomo è, perché Cristo è passato tra noi diventando quello che era. Chi come noi, e come Cristo prima di noi, è chiamato a diventare quello che è vive davvero solo ad un patto: che cresca ogni giorno, fino alla perfezione definitiva della vita eterna, mediante robuste e reiterate esperienze di donazione e di comunione: per gli altri e soprattutto con gli altri. Ma questo suo dover essere, questo suo percorso obbligato, affonda le sue radici nel suo essere, nel cordone ombelicale che tramite Cristo lo collega a Dio, nella compagine interiore che lo identifica come soggetto spirituale unico, irripetibile, portatore di dignità infinita perché aperto all’infinito. L’uomo come Persona. Una parola dall’origine umilissima. Per i teatranti romani la “persona” era quella specie di mascherone orripilante che vediamo spesso riprodotto dell’arredo teatrale, sulle quinte o sul proscenio: se lo mettevano in faccia – il mascherone – per amplificare la voce. Una parola che nelle antropologie ispirate al vangelo indica il pilastro portante. Molti gli optionals che in quelle antropologie possono fare la loro bella figura, ma della centralità della persona nessuna di esse può fare a meno. Persona: soggetto spirituale unico, irripetibile, portatore di dignità infinita perché aperto all’infinito. E perciò stesso non quantificabile. La qualifica di persona non è quantificabile. Nessuno è… più persona di un altro. “Chi ammazzeresti meglio, un decatleta statuario che sprizza energia o un vecchietto rinturcinato che tiene l’anima coi denti?” La domanda è di una stupidità totale.L’unica risposta possibile: fratello, fatti una curetta di fosforo. O a- ad libitum – di bucatini c’a a pajata. Che non contiene fosforo, ma ti fa sentire di essere qualcuno.