Perché Calderoli se ne deve andare

Intesi come creature di Dio, e anche all’occhio dello zoologo, gli animali delle diverse specie sono tutti uguali e hanno tutti una dignità e un valore. Ma nel linguaggio no. Il linguaggio è un codice di comunicazione convenzionale, e utilizza le cose del mondo reale per farne similitudini e metafore; così parole come “leone” e “serpente” assumono significati e valori che in natura non hanno. Se di una persona si dice che ha le movenze di una gazzella, o l’agilità di uno scoiattolo, vogliono essere complimenti e sono graditi. Ma se si dice che ha un cervello di gallina, o l’ignoranza di un somaro, questi vogliono essere insulti e l’interessato giustamente si ritiene offeso; senza che c’entrino le bestie del mondo reale, poverine. Ma qual è la più insultante delle metafore prese a prestito dal mondo animale? Non quella del porco, come si potrebbe credere. È quella della scimmia. Soprattutto se indirizzata a una persona proveniente dall’Africa. Perché? Perché c’è stato un periodo (tra l’Ottocento e il Novecento) in cui circolavano teorie pseudo-scientifiche che volevano vedere in quella che chiamavano la “razza negra” l’“anello di congiunzione”, nella catena dell’evoluzione biologica, tra la scimmia e l’uomo (bianco, s’intende). C’è un romanzo di Jules Verne dedicato a questo argomento. Quelle idee sono rimaste nel subconscio collettivo, e comunque nel linguaggio. Quindi dare della scimmia a un africano non è come dirgli che è fedele come un cane. È lanciare un messaggio preciso: sei un essere sub-umano e lo sei geneticamente, non ci puoi fare nulla, anche se hai una laurea, e sei un ministro del Governo italiano. Questo ha detto Calderoli alla ministra Kyenge, questo voleva dire, e questo hanno capito i suoi ascoltatori, che hanno applaudito perché lo pensano anche loro. Ecco perché quell’offesa non può essere cancellata dalle scuse di rito, e perché quell’uomo non può più stare a fare il vice presidente di un Senato di cui fa parte anche la senatrice Cécile Kyenge.

AUTORE: Pier Giorgio Lignani