La storia della mia bocciatura agli esami di guida mi piace raccontarla adesso, a distanza di tanti anni, ma allora… Anche perché, allora, dopo la prima bocciatura ce ne fu una seconda.Fuggito ignominiosamente dal Cospetto di Sua Signoria l’Ingegnere, abbozzato un sorriso amarognolo di fronte allo sfottò dei miei ragazzi, mi buttai a capofitto nello studio dei segnali stradali. Cinque diversi testi di studio, quattro diverse agenzie di guida consultate per telefono. Arrivai al secondo esame che dei segnali stradali sapevo tutto, ma proprio tutto, anche dei meno usati: ognuna delle mie risposte puntualmente troncò l’ultima sillaba delle domanda. “Bene, bene”, bofonchia lui. E ci credo! Ci credo, che sono andato bene! Ci credo, m’alzo, saluto. Ma Sua Altezza l’Ingegnere non è d’accordo. “Dove va, lei?”. Io: “Beh, non so… forse… un salto da mio padre, a dirgli che… è andata bene”. Lui: “La metà”. Io: “Prego?”. Lui: “Preghi pure, visto che tra l’altro è un prete. Però si sieda”. Scopro adesso che l’esame ha due tempi, il secondo dei quali verte sulla conoscenza del motore. Mi siedo, esterrefatto. Lui: “Mi dica: cos’è lo spinterogeno?”. Lo spinteché? Siedo e mi gratto la crapa. Poi tento la carta della persuasione quasi-occulta: “Ma, scusi, uno che compra un mulo, per cavalcarlo deve sapere com’è fatto dentro?”. Lui: “Questo lo chieda ai suoi amici democristiani che ci governano”, e chiude la cartella che fin dall’inizio era lì che aspettava di essere chiusa. A sera, al Movimento studenti… non se l’aspettava nessuno. Ma, anche con il beneficio dell’improvvisazione, i… festeggiamenti furono ugualmente solenni. A casa babbo non venne nemmeno a cena. Gli si riacutizzò il rammarico: con quella Fiat 500 (PG 58 688) già diversi ragazzi hanno preso la patente. Diversi, io no. Io la prestavo a tutti, e lui non condivideva. A Giancarlo Pellegrini gli ho lasciato le chiavi la sera prima. La mattina alle cinque …clic clic clic! E riclìc, riclìc, riclìc. M’affaccio su via Mazzini dalla finestra della mia camera e cerco di avvisare Giancarlo, che sta tirando la levetta dell’accensione ma non ha girato la chiave che accende il quadro. “Giaancaarlo! Giaancaarlo!”. Sibilante. Niente. Nel frattempo s’è aperta anche la finestra a fianco della mia, quella della camera del babbo. Una voce nel buio: “Questa non è una macchina! È una puttana!”. Mai detto parolacce, il babbo.
Per la seconda volta
ABAT JOUR
AUTORE:
A cura di Angelo M. Fanucci