Gesù è in cammino verso Gerusalemme; sta scendendo lungo la riva orientale del Giordano, nel territorio della Perea, dove Giovanni battezzava. È circondato da un folla di pellegrini che vanno nella città santa per una delle feste annuali. Egli ne approfitta per istruirli. Lo spunto per la catechesi di oggi gli è fornito dalla domanda di alcuni farisei e dall’atteggiamento dei discepoli. Egli parla della famiglia e dei bambini, due argomenti di estremo interesse per i suoi compagni di viaggio e per noi. Per la famiglia affronta il tema del divorzio, perché su questo verte la domanda capziosa del suo interlocutore: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”.
Era in vigore una legge divorzista, ma molti giuristi si domandavano a quali condizioni si potesse ottenere i divorzio. La scuola di Hillel esigeva motivi seri e rilevanti per rilasciare il certificato di divorzio; la scuola di Smammai ammetteva anche futili motivi, il divorzio dipendeva solo dalla volontà libera del marito. Si sa che le donne erano merce di scambio tra le famiglie e la loro volontà non contava nulla; non avevano nessun diritto, solo doveri di sottomissione assoluta. Erano sempre e solo i mariti a chiedere e concedere il divorzio. I figli erano proprietà dell’uomo e lui solo poteva decidere la loro sorte. Come si vede, il mondo non è cambiato molto, specie in alcuni settori della società.
A Gesù non interessa la casistica umana tirata in campo dai rabbini; egli sposta il discorso sul progetto originario di Dio creatore della famiglia, quello descritto nella prima lettura di oggi, che richiama espressamente. Gesù non si ferma a discutere gli eventuali fallimenti dovuti ai limiti e alla vulnerabilità dell’uomo travolto dal peccato originale. Quei fallimenti non annullano il progetto di Dio fondato sul rapporto di amore indissolubile, che è iscritto nella natura dell’uomo e della donna. L’indissolubilità del matrimonio è una legge radicale e un ideale totalizzante voluti da Dio, e non saranno gli uomini con la loro sensibilità culturale mutevole a cambiarne il contenuto. Gesù cita il testo biblico assolutamente chiaro: “All’inizio della creazione Dio li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola” (Gn 1,27; 2,24). Di suo c’è solo il breve commento: “Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto”.
Questo significa che il matrimonio è una cosa estremamente seria e impegnativa, non un gioco di sentimenti passeggeri. Esso crea un’unità così profonda tra gli sposi da farne una cosa sola, una fusione di corpi inimitabile. L’eros che è attrazione, passione, sfogo sessuale, è integrato, nel matrimonio cristiano, con l’agape che è amore-dono di Dio, comunione spirituale, venerazione della persona amata, legame indissolubile. Tutto questo è frutto del sacramento che gli sposi celebrano. Con questo tipo di amore, Dio corregge le ferite dovute al peccato originale e rende possibile il “non separare ciò che Egli ha congiunto”. A questo punto i farisei gli contestano le possibilità offerte dalla legislazione mosaica: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio”. E Gesù risponde deciso che quella di Mosè era una concessione dovuta alla “durezza di cuore” (schlerokardìa) della sua gente, cioè all’insensibilità morale, alla fragilità e alla sclerosi di fede. Egli, con il suo vangelo, vuole riportare il matrimonio alla sua purezza originale, come lo aveva voluto Dio, prima dell’inquinamento dovuto al peccato.
Gesù è venuto a riparare la falla enorme causata dal peccato delle origini con la sua passione e morte. Perciò ai suoi credenti ora può chiedere di più. Ai discepoli spiega che, in conseguenza di ciò, “chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”. Il divorzio non è questione di carte bollate, ma di cuore gelato dall’incomprensione, dall’incomunicabilità, dalla perdita di ideale e di fede. Un credente non ci si può rassegnare. Accanto al problema dei coniugi c’è quello dei figli, che sono le prime vittime innocenti del divorzio, contesi e sballottati tra un genitore e l’altro, senza un punto fermo di riferimento. A costo di compromettere la loro educazione e la loro maturità umana.
È ben nota la predilezione di Gesù verso i bambini, per la loro spontaneità, semplicità e accoglienza, ma anche per la loro estrema vulnerabilità davanti alla cattiveria umana sempre in agguato. Consapevoli di tutto questo, coloro che avevano appena ascoltato la sua catechesi sulla famiglia, “gli presentavano dei bambini perché li toccasse”. Sapevano che da lui emanava un potere salvifico capace di difendere quei piccoli dai pericoli e dalle disgrazie della vita. Tentavano di affidarglieli, ponendoli sotto la sua protezione. I discepoli non comprendono questa profonda esigenza e vogliono evitare a Gesù il fastidio di quelle creature rumorose e vivaci. Gesù, vedendo ciò, “si arrabbia” (aganaktein); è una delle pochissime volte che gli capitava di farlo.
È stupenda questa indignazione del Figlio di Dio, che si era fatto bambino per capire meglio quelle creature di Dio e sintonizzarsi con loro! Non può rinunciare a quel contatto cordiale con la parte più pura e più limpida dell’umanità senza tradire se stesso e la sua vocazione. Egli pronuncia una delle farsi più intense della sua dottrina: “Lasciate che i bambini vengano a me, e non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il Regno di Dio”. Per reazione al gesto dei discepoli, non solo impone loro le mani, ma li abbraccia con affetto e li benedice con calore. C’è sempre l’amore di Gesù a proteggere e compensare i bambini vittime delle separazioni tra i coniugi. Nessuno li può allontanare dalla familiarità calda di Dio.