Il brano che ci è proposto in questa domenica è di certo uno dei più popolari del Vangelo, ma non per questo ci si può permettere di commentarlo con superficialità. La scena si apre con la questione posta da un “dottore della Legge” il quale manifesta con evidenza l’intenzione di tendere un tranello a Gesù. Immediatamente vengono alla mente le innumerevoli volte che anche noi vogliamo provocare Gesù con le nostre domande umane e sufficienti. La sai già la risposta – controbatte il Maestro -, hai udito, sai cosa c’è scritto nella legge di Mosè: amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, e il tuo prossimo come te stesso. “Questa Parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica” come leggiamo anche nella prima lettura tratta dal libro del Deuteronomio. Il Salmo 18 ci fa pregare che “la legge del Signore è perfetta, i suoi precetti sono retti, tanto da far gioire il cuore”. Tuttavia il dottore della Legge incalza e continua a chiedere: “Ma chi è il mio prossimo?”. Sembra voler dilazionare il tempo dell’impegno concreto. Quante domande e quante argomentazioni sul come e sul perché dell’amore siamo capaci di fare! Ecco quindi che Gesù per spiegare la “nuova legge” racconta una storia. La scena è dominata da una strada. La strada accomuna tutti, il viandante (un “uomo” senza nome, perché chi ha bisogno non ha un nome), il sacerdote, il levita, il samaritano, i ladroni. La strada avvicina e mette in relazione. Situare la scena nella strada che congiunge Gerusalemme a Gerico ha un particolare significato, perché congiunge due realtà diverse, il sacro e il profano, il religioso e il mondano. La strada che Gesù ha assunto come metafora di se stesso (“Io sono la Via, la Verità, la Vita”). Tanto si è scritto sulle tre figure protagoniste della parabola: il sacerdote e sul levita sicuramente si sono sentiti giustificati dal mandato urgente di qualche liturgia da celebrare, e saranno stati di certo soddisfatti di aver adempiuto ai loro doveri istituzionali senza perdere tempo inutile… e senza rischiare di imbattersi anche loro nei briganti! Il colpo di scena è dato però dal comportamento per niente scontato del samaritano, il più ideologicamente lontano dal rappresentare un esempio.
L’insegnamento di Gesù al dottore della Legge e a noi uomini del nostro tempo rimane lo stesso: l’amore per l’uomo ferito viene prima di qualunque tentativo di giustificare un nostro “passare oltre”. Ed è significativo che Gesù scelga come modello positivo una delle figure più odiate dai giudei (un eretico, un samaritano: cfr. il Vangelo di domenica scirsa) e come modello negativo due rappresentanti della casta religiosa di allora, potremmo dire un religioso e un “laico impegnato” del nostro tempo. Come se ci stesse dicendo: guardate che i samaritani, quelli che voi ora tanto screditate, vi precederanno nel Regno dei cieli. Gesù indugia nella descrizione dei gesti del samaritano, come se fosse un racconto alla moviola, ed ecco che i verbi usati assumono la forma di una specie di “nuovo decalogo”. Gli passa accanto (1), lo vede (2), e il suo cuore si muove a compassione (3), cioè soffre con lui (4), gli va vicino (5), gli dà quello che ha, olio e vino (6), lo tocca, ha cura di lui, fascia le sue ferite (7), lo prende in collo e lo carica sul suo asino togliendolo dalla strada, fa tutto quello che è possibile fare per aiutarlo (8), paga di tasca sua (9), e coinvolge gli altri – l’albergatore – nell’accudimento (10). Ecco che quello che ci vene proposto in questa domenica diventa un vero e proprio esame di coscienza. sull’amore saremo giudicati, e mai come in questo tempo la parabola si fa Parola scomoda che esige un cambiamento, un movimento del cuore verso la dimensione del cum-patire, del soffrire insieme. È Gesù che ha incarnato totalmente questo amore fattivo, presentandosi come il vero buon samaritano, facendosi vicino a questa umanità ferita e prostrata e prendendosene carico con “viscere di misericordia” (cfr. Lc 6,36). È Gesù che per primo si è fatto nostro compagno di strada. Ci viene in mente la preghiera che il Papa ha recitato lo scorso 16 aprile nella sua visita all’isola di Lesbo: “Dio di misericordia e Padre di tutti, destaci dal sonno dell’indifferenza, apri i nostri occhi alle loro sofferenze e liberaci dall’insensibilità, frutto del benessere mondano e del ripiegamento su sé stessi… Aiutaci a condividere con loro le benedizioni che abbiamo ricevuto dalle Tue mani e riconoscere che insieme, come un’unica famiglia umana, siamo tutti migranti, viaggiatori di speranza verso di Te, che sei la nostra vera casa, là dove ogni lacrima sarà tersa, dove saremo nella pace, al sicuro nel tuo abbraccio”.