Di tal genere fu la Pasqua degli israeliti in terra straniera, aggregati a fatica e guidati a liberazione da Mosè, lo schiavo salvato dalle acque. Nella rischiosa marcia tra deserto e paludi, gli ebrei schiavi conobbero ancor meglio la durezza e l’ingiustizia della loro condizione e impararono la fatica della libertà. Quella libertà che il grande pensatore e poeta cristiano Dante considerò a ragione il “maggior dono” che Dio ha fatto all’essere umano per renderlo il più simile a Sé: un dono che permea e va oltre la stessa razionalità, e consente all’uomo di affidarsi consapevolmente e responsabilmente alla ineffabile bontà di Dio e alla gioiosa fatica d’essere uomo. La Pasqua è ancor oggi la celebrazione annuale di questa singolare concessione divina: non solo una liberazione dai condizionamenti storici (per gli ebrei fu la schiavitù), ma la libertà in quanto tale, e cioè il dono che più ci avvicina sul piano umano all’identità e all’operato di Dio. L’interrogativo è inevitabile per chiunque: che uso faccio della libertà che mi è stata donata? La libertà, infatti, condiziona l’uso dell’intelligenza e di ogni altra connotazione dell’umano (la verità, la bontà, la giustizia, la bellezza, l’amore…). La responsabilità tutta umana del bene e del male è strutturalmente legata all’uso della libertà personale: non c’è fatica o caso che tenga, l’uomo è veramente arbitro del suo destino. Il Pesach ebraico è, prima di tutto, questa memoria della libertà conquistata nella vicenda storica di un popolo schiavo, ma anche memoria della traumatica educazione di quel popolo, e di ogni popolo ed individuo, al saggio uso della libertà. Tale uso passa prima di tutto attraverso la memoria delle “dieci parole” scritte nella mente che pensa e nella coscienza responsabile d’ogni essere umano (il Decalogo è il grande “codice etico” di elementare chiarezza e comprensione per imparare il cammino della libertà); poi attraverso la memoria dell’evento singolare di liberazione storica di un popolo dalla schiavitù sociale e politica in cui era incappato nella sua ricerca di pane e di sicurezza. A secoli di distanza, Gesù è venuto a rendere più efficace e sicuro questo cammino di liberazione, annientando la matrice iniqua del dissesto morale e sociale di ogni uomo e di tutti gli uomini, cioè il “peccato”, che è sempre una tragica, consapevole ribellione a Dio e al Suo progetto d’amore. Il peccato se lo è accollato Gesù stesso su una croce, facendosi carico del male del mondo e offrendosi come mediatore di grazia e garante del perdono divino per ognuno che lo voglia. L’antico Pesach trova perciò compimento nella Pasqua del Figlio dell’uomo. Ne ritroviamo la forza salvatrice nella “Pasqua settimanale”, e cioè la domenica, diventata giorno di nuova creazione del cristiano, il quale deve essere sempre più e sempre meglio l’uomo nuovo, libero e liberatore. La Pasqua, perciò, è la festa della libertà e della liberazione integrale da ogni condizionamento.
Pasqua: la fierezza e la fatica della libertà
Parola di vescovo
AUTORE:
Giuseppe Chiaretti