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Il 4 luglio, con una conferenza stampa al Cern di Ginevra, è stata data la notizia della scoperta di una particella subatomica mai finora osservata. Le sue caratteristiche principali corrispondono a quelle del bosone di Higgs, meglio noto al grande pubblico come “particella di Dio”. Per evitare qualsiasi equivoco, va subito chiarito che l’appellativo divino non è che il frutto di una furbizia editoriale volta ad incrementare le vendite di un libro divulgativo, scritto da Lederman nel 1993 su questi argomenti e pubblicato in Italia da Mondadori. Il titolo proposto dall’autore era La particella maledetta, per significare la particolare difficoltà della sua identificazione. Ma il termine “maledetto” non è tanto attraente quanto il termine “Dio” che, specie in un titolo di libro fa schizzare in alto la tiratura. L’editore di Lederman lo sapeva bene e modificò l’originale senza tanti scrupoli. Ragioni di mercato, quindi, non certo teologiche né filosofiche. L’enorme risonanza della notizia, comunque, è più che meritata: se verrà definitivamente confermato che la nuova particella osservata è proprio il bosone teorizzato da Higgs, la conoscenza delle particelle elementari farà un notevole balzo in avanti e, soprattutto, troverà finalmente risposta l’annosa questione dell’origine delle masse che tutti i corpi del nostro universo possiedono. La massa è quella proprietà che, in qualche modo, dà la misura dell’inerzia. Maggiore è la massa di un corpo, più elevata è la resistenza che il corpo oppone alle spinte. Anche nel linguaggio comune si dice che un corpo è “massiccio” quando, per spostarlo, occorre applicare spinte di intensità fuori della norma.
Da dove viene il peso?
È evidente che la massa di qualsiasi corpo è determinata dalle masse dei componenti, delle molecole che li compongono e quindi, in ultima analisi, dalle masse delle loro particelle elementari. È corretto quindi affermare che dalle masse delle particelle elementari derivano le due caratteristiche principali (peso e dimensioni) di tutto quanto ci circonda. Ma le particelle elementari hanno una loro massa? Evidentemente la devono avere, visto che i loro insiemi la possiedono. E tuttavia, il “Modello Standard” – teoria dimostratasi efficacissima nello spiegare le proprietà delle particelle subatomiche – dice che le loro masse non sono delle proprietà intrinseche ma vengono loro conferite dal “campo di Higgs” attraverso, appunto, i “bosoni di Higgs”. Se le particelle elementari non ricevessero in questo modo la loro massa, non sarebbero che onde, come la luce, e, proprio come la luce, correrebbero da un capo all’altro dell’universo senza avere la possibilità di aggregarsi e formare strutture stabili come quelle dei corpi che conosciamo. In altri termini, senza il bosone di Higgs il nostro universo semplicemente non esisterebbe. Da questa presentazione breve e necessariamente iper-semplificata spero risulti chiara la rilevanza della scoperta. C’è comunque un’altra considerazione da fare.
La logica prima dell’esperienza
È interessante notare che Peter Higgs, professore emerito dell’Università di Edimburgo, propose la sua teoria nel 1964, e fino al 2012 non ci sono state osservazioni sperimentali significative che la comprovassero: 48 anni durante i quali quella di Higgs veniva considerata una rispettabile teoria, ma niente di più. Poi finalmente ecco la prova sperimentale. Era necessaria un’apparecchiatura enorme, complessa, costosissima, come l’acceleratore Lhc di Ginevra, per mettere in evidenza la “particella maledetta”, ma ci si è riusciti. Ciò che aveva predetto Higgs con esattezza matematica esiste realmente. Il percorso conoscitivo però è stato l’opposto di quello normalmente seguito, che prevede prima le osservazioni sperimentali e poi la spiegazione teorica. Nel caso del bosone, è venuta prima una descrizione teorica logicamente ineccepibile, una sorta di previsione suggerita dall’intuito e dall’intelligenza, e poi la conferma sperimentale. Tutto ciò ha un significato ben preciso: l’universo è intelligibile. Al suo cuore non sta il “caso” (assenza di intelligibilità), ma l’esatto contrario. È questo che ha strappato lacrime di commozione al vecchio Higgs, presente alla conferenza stampa. Non so se abbiano pianto anche i fisici dell’Università di Perugia coinvolti nel progetto di ricerca del bosone. Di certo però avranno provato una grande soddisfazione nel vedere questi primi frutti dei loro sforzi. E uno di loro, il prof. Mantovani, professore emerito di Fisica ed ex preside della facoltà di Scienze di Perugia, ha accettato di rispondere ad alcune domande de La Voce su questi argomenti.