Chiude l'”Anno europeo della Persona con disabilità”. Ancora qualche posticcio spettacolino pirotecnico, poi si chiude. La condizione dei disabili fisici o psichici nel nostro paese da sempre è stata segnata da uno stacco netto fra principi solennemente proclamati e principi concretamente realizzati, fra diritti riconosciuti e diritti effettivamente esercitati. Nel passato recente, di passi se n’erano fatti, di luce un po’ se n’era vista, la distanza fra proclamazione e realizzazione, fra riconoscimento ed esercizio s’era notevolmente ridotta. Poi la Commissione europea ha avuto la bella idea di proclamare il 2003 “Anno europeo della Persona con disabilità”, e la distanza è tornata a farsi abissale. Parole come pietre. Di “anni dell’handicappato” se n’erano celebrati diversi. “Celebrati”: uno più inutile dell’altro, fatte le debite eccezioni, peraltro assolutamente marginali. Ma stavolta, per la prima volta, doveva essere l’anno della persona con disabilità. E si è fatta di nuovo abissale la distanza fra la realtà e la parola usata per designarla. Ma vi rendete conto? Persona. Parole come pietre. Costruiscono o uccidono. Persona. La parola più nobile in sé, ma anche la parola più consunta dalla retorica. Orizzonte entusiasmante se lo contempli nei cieli limpidi dei principi sommi, orizzonte deludente se lo verifichi nel quotidiano. Cambiare le parole è sempre stata l’alternativa che gli intellettuali nostrani hanno innescato quando appariva chiaro che cambiare la vita era troppo difficile. Docili ai loro insegnamenti, per secoli i portatori di un qualche deficit corporeo o mentale li abbiamo chiamati “malformati” (“mostri” i più gravi), poi “handicappati”, poi “disabili”, poi, da qualche mese appena , “diversamente abili” (per gli amici : “diversabili”). Al vertice delle bugie, il colpo di genio: “Persone con disabilità”. Certo, la condizione di questi nostri fratelli è incomparabilmente più umana di quando Platone concedeva solo alle famiglie più nobili di non uccidere i figli nati con qualche malformazione, purché li tenessero accuratamente nascosti per tutta la vita; o di quando Aristotele voleva che tra le leggi di un buono stato ne venisse sempre inserita una che obbligasse a sopprimere i portatori di disabilità congenite subito dopo la nascita. Ma le parole sono e rimangono pietre. Non li si può chiamare impunemente Persone. Non lo si può fare senza trattarli da Persone, sempre e comunque, a tutti gli effetti, con tutti i diritti e i doveri della persona, e soprattutto con tutti gli strumenti per esercitare quei diritti.
Parole come pietre
AUTORE:
Angelo Fanucci