La Parola è per sempre

“Io ho progetti di pace e non di sventura” dice il Signore tramite il profeta Geremia che ascoltiamo nell’Antifona d’ingresso di questa XXXIII Domenica del TO e che ci predispone all’accoglienza dell’intervento divino il quale, nonostante sia anticipato da sconvolgimenti e cataclismi, è caratterizzato da prospettive future pacifiche e gloriose.

Prima lettura

La prima Lettura tratta dal libro del profeta Daniele ci presenta infatti il quadro di una situazione inquietante e terrificante, ma che allo stesso tempo inaugura una nuova fase di ‘luce’ e benessere. Il testo è ispirato al periodo in cui il sovrano Antioco Epìfane (164 a. C.) perseguita i giudei credenti obbligandoli a non osservare le loro regole religiose e mettendo a morte quanti si ribellano ai suoi ordini.

In questo contesto si rafforza la fede nella risurrezione dalla morte e quanti sono messi alla prova affrontano coraggiosamente il martirio (cf. 2Mac 7) certi di rivedere la luce (“… si risveglieranno: gli uni alla vita eterna, gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna”).

A dominare questa scena di combattimento tra il bene e il male è Michele, colui che è preposto a custodia e difesa del popolo (Es 23), l’angelo del Signore che si oppone al diavolo (Zc 3), il “gran principe, che vigila sui figli del popolo, colui che sconfigge definitivamente il male (Ap 12),”.

LA PAROLA della Domenica

PRIMA LETTURA
Dal Libro di Daniele 12,1-3

SALMO RESPONSORIALE
Salmo 15

SECONDA LETTURA
Dalla Lettera agli Ebrei 10,11-14.18

VANGELO
Dal Vangelo di Marco 3,24-32

Salmo

A questo scenario apocalittico fa eco il Salmo responsoriale in cui l’Autore si rivolge al Signore proprio per impetrare protezione (“Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio”) e, come se fosse un guerriero, Lo invoca perché gli faccia da scudo (“davanti a me”) e sia per lui compagno e difensore (“sta alla mia destra, non posso vacillare”).

Seconda lettura

La Lettera agli Ebrei che questa domenica terminiamo di ascoltare, in continuità con le precedenti domeniche ci propone il confronto tra Gesù e i sacerdoti dell’AT affaccendati a “offrire molte volte gli stessi sacrifici” che però risultano inefficaci perché “non possono mai eliminare i peccati”. Cristo invece ha definitivamente spezzato la catena del male causato dal peccato perché “con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati”.

Vangelo

Ormai prossimi alla conclusione dell’anno liturgico B, la Parola ci offre per l’ultima volta (vedi Commento domenica scorsa) la proclamazione del Vangelo secondo Marco. L’episodio riguarda gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù e, nello specifico, il momento in cui si trova con i discepoli nei pressi del monte degli Ulivi e pronuncia il discorso ‘apocalittico’ del quale ascoltiamo la parte culminante.

Gesù annuncia che giungerà in tutta la sua potenza e gloria il ‘Figlio dell’uomo’, ma questa manifestazione gloriosa sarà preceduta da eventi catastrofici come l’oscuramento del sole e della luna, nonché la caduta delle stelle e l’annientamento delle “potenze che sono nei cieli” perché, sebbene nell’antichità si ritenesse che gli astri fossero caratterizzati da potenze indistruttibili, sopraggiunge una potenza ben superiore che li ‘sconvolge’.

In linea con la letteratura apocalittica veterotestamentaria il “Figlio dell’uomo” è presentato infatti come una potenza tale che nullifica tutte le forze naturali. Connessa con questa immagine vi è quella del corteo che accompagna il Figlio dell’uomo, costituito da angeli ed eletti provenienti dalla totalità spaziale (“dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo”).

Dopo questa presentazione suggestiva dell’avvento del Figlio dell’uomo, Gesù invita a ricercare la sapienza, a saper leggere cioè i ‘tempi’ e a prepararsi adeguatamente. Per fare questo espone la ‘parabola del fico’, pianta non scelta a caso visto che è la più menzionata nell’AT.

Gesù suggerisce di essere attenti all’accadere di “tutte queste cose” e dà un ulteriore indizio che è quello del non temere “questa generazione” intendendo con questa accezione (relativamente alla casistica dell’utilizzo di questo sostantivo) quanti rifiutano l’amore di Dio. A questo punto c’è uno tra i più significativi messaggi teologici che potrebbe rischiare di rimanere in secondo piano visto il clamore che desta il linguaggio apocalittico: “il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.

All’opposto della transitorietà dell’universo e dell’esperienza umana, vi sono le parole di Gesù che sono eterne ed efficaci all’infinito. È quanto dichiarato già nell’AT dove troviamo espressioni come “per sempre, o Signore, la tua parola è stabile nei cieli” e quella più confacente al tema “secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre” (Sal 119,89; Is 40,8; …).

E considerando che nel I secolo d. C. si pensava che l’arrivo dei tempi escatologici fosse imminente, Gesù smorza questa ansia della ‘fine’ e invita piuttosto alla vigilanza perché in merito a quei tempi “nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, eccetto il Padre”. Questo carattere della ‘imprevedibilità’ non elimina la gioia che deriva dal sapere che il nostro destino è eterno e glorioso: “… non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa”.

Giuseppina Bruscolotti