L’impressione più frequente che si ha quando si viene a contatto diretto con la gente è questa: si è delusi di quanto abbiamo, cerchiamo qualcosa di nuovo; siamo arrivati dopo tanta fatica al termine d’una strada, e ci troviamo dinanzi un vicolo cieco. Non è un discorso pessimistico, questo che stiamo facendo, anzi, è il discorso della speranza. Quando sembra che tutto crolli, balena l’idea d’un nuovo progetto: la casa crolla per costruirne una nuova. Per chi ha la fede, questo discorso è normale, è d’obbligo: il protagonista della storia non è l’uomo, come il costruttore di una casa non è il muratore, né tanto meno il facchino. Dentro la storia c’è un Operatore più grande, più potente dell’uomo. Non per nulla Dio si è fatto uomo, e nella sua umanità divina seguita a operare nella storia d’ogni giorno secondo un disegno totale, che ci sfugge. Per chi ha fede, questo è un discorso normale. O meglio, dovrebbe esserlo. Perché non è difficile incontrare persone che sono molto brave a fare lamentazioni sui mali propri e altrui, su questo mondo che va in rovina, senza rimedio. E, come conclusione, si rifugiano a rimpiangere i tempi passati, a sognare il paradiso perduto. Per loro la vera patria sembra il camposanto delle persone beate d’un tempo passato. Ma come si fa a testimoniare il Cristo risorto e lo “Spirito santo, “che è Signore e dà la vita”, con questi volti tristi, come quelli dei fuggiaschi discepoli di Emmaus? Non è questo lo stile insegnatoci da Gesù nel discorso delle Beatitudini, né questo è il potente ritmo di marcia dato dallo Spirto santo il giorno di Pentecoste alla Chiesa nascente.
Certamente, domina oggi l’opinione che ci sia in giro tanta indifferenza, sfiducia, pessimismo, riflusso nel privato, diffidenza per il pubblico e il politico. E questo si ripete fino alla noia, come fosse indiscutibile, evidente, irrimediabile. E tuttavia c’è gente che attende, in una specie di “avvento” popolare e laico che si manifesta nelle forme più varie, e talvolta viene nascosto per una specie di autonomia laica. E tutta questa gente che attende deve pesare sulle spalle di tutti noi, credenti nel Risorto e nella potenza dello Spirito. Viviamo in un mondo in cui i mezzi di comunicazione audiovisivi, da servi, stanno sempre più diventando nostri padroni. Impossibilitati a controllare e valutare le innumerevoli notizie che da essi ci provengono, spesso tali notizie le diamo per scontate e ce ne serviamo poi per dare valore alle nostre riflessioni e ai nostri discorsi. Viviamo, così, come immersi in questo mondo astratto, audiovisivo. Il mondo reale però non è così: “In tutte le opere, alle quali ha donato l’essere, Dio non cessa di operare continuamente per mantenere l’essere”, scriveva infatti Isacco della Stella. In natura, infatti, nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. E l’uomo può intervenire solo in questa trasformazione. Per naturale generazione i genitori infatti trasmettono ai figli non l’anima, cioè lo spirito, ma solo il corpo. L’anima sta solo nelle mani di Dio e lui solo può donarla. Quindi, “l’universo deve essere per te tutto intero come un libro, il cui testo rende gloria a Dio. La grandezza nascosta e invisibile di Dio si annuncia a te, che sei dotato d’uno spirito per conoscere la verità”, diceva Basilio di Cesarea. E anche oggi Dio sta riscrivendo il Suo libro. Ma non basta essere dotati di uno spirito, se poi lo lasciamo dormire nel profondo della nostra subcoscienza, e mai ne diamo una testimonianza nella nostra vita e nei nostri giudizi e discorsi. E vivendo in questo nostro mondo astratto, audiovisivo, mi sembra che stiamo dimenticando anche di avere un’anima.