A suon di esortazioni (apostoliche). Che ripercorrono e rilanciano un lavoro sinodale. Si può sintetizzare in questo modo lo stile di Papa Francesco, di cui il 13 marzo ricorre il settimo anniversario di elezione.
Dando infatti una rapida occhiata ai documenti pubblicati da Papa Bergoglio, colpisce la prevalenza del “genere letterario”, ma soprattutto pastorale, dell’esortazione apostolica. Ci sono stati pontificati, da Leone XIII a Giovanni XXIII, da Paolo VI a Giovanni Paolo II, caratterizzati da encicliche epocali, magari scritte in controtendenza rispetto al clima ecclesiale del tempo.
Nel caso di Francesco, invece, i documenti qualificanti derivano perlopiù da un lungo lavorìo che ha prima coinvolto l’intera compagine della Chiesa, dalla base della piramide in su.
Con ovviamente qualche eccezione. A parte infatti la Lumen fidei, documento di raccordo con il pontificato di Benedetto XVI, Bergoglio ha lasciato un’unica enciclica, ma tutt’altro che marginale: la Laudato si’, che da 2015 continua a provocare riflessioni ed eventi, e non solo all’interno della Chiesa.
La punta di diamante
Le esortazioni apostoliche di Papa Francesco si rivelano la punta di diamante di questo pontificato per diverse ragioni. Anzitutto, come accennato, a causa della loro origine: un ascolto e un confronto che parte dal basso, dalla voce delle diocesi e dei singoli credenti, ma anche dei non credenti interessati a offrire un contributo. Ma la novità sta anche nel testo stesso dell’esortazione apostolica: non un documento che chiude il dibattito, ma lo riassume e lo restituisce alla riflessione e al lavoro sul piano locale. Lavoro paziente, in cui si intrecciano posizioni di diverso tipo.
‘Clamoroso’ in questo senso il caso di Querida Amazonia, dove il “Documento finale” del Sinodo panamazzonico, con vari punti controversi, viene riproposto come era, senza prendere decisioni magari premature, ma anche senza cestinare o censurare gli argomenti più scomodi, che quindi rimangono sul tavolo. Ai posteri – magari solo tra qualche anno – l’ardua sentenza.
Il testo che detta in maniera chiara il metodo pastorale di Papa Francesco è la Evangelii gaudium. Ed è sicuramente questo stile a risultare indigesto a una certa porzione della Chiesa cattolica, più ancora che agli storici ‘avversari’ della Chiesa.
Categorie difficili al centro
I temi affrontati ad ampio raggio e con coraggio da Papa Francesco in tutta la sua azione, non solo nei documenti, sono quelli che più interessano e/o fanno discutere l’umanità odierna. In fatto di ecologia, ad esempio, qualcuno ha fatto notare che l’anziano Pontefice argentino era arrivato ben prima della giovane studentessa svedese Greta Thunberg.
I “deboli” di ogni categoria sono poi costantemente al centro dell’attenzione. Può trattarsi degli “scarti”, i poveri, gli emarginati, i disabili, gli immigrati, i profughi. Indimenticabile, soprattutto per gli umbri, la visita del Papa all’Istituto Serafico di Assisi, dove identificò gli ultimi degli ultimi come “la carne di Cristo”.
Ma in questa nostra società aggressiva le categorie deboli sono anche altre, e numerose. All’interno della Chiesa stessa un velo di omertà ha spesso coperto gli abusi commessi contro i minori o altre categorie indifese. Qui Francesco ha raccolto il testimone lasciatogli da Papa Ratzinger; o meglio ancora, Benedetto XVI, sentendosi venir meno le forze, ha rassegnato le dimissioni proprio per chiamare un successore più energico a portare avanti la battaglia.
Una curiosa ‘minoranza debole’ all’interno della Chiesa cattolica è rappresentata dalle donne, che sicuramente costituiscono la forte maggioranza dei fedeli. Anche in questo caso, lo spirito del pontificato di Bergoglio lo porta, da un lato, ad abbattere i pregiudizi, e, dall’altro, a valorizzare il ruolo della componente femminile all’interno della Chiesa.
“Poveri” in questo mondo sono spesso – figurativamente, e non solo – i giovani, privati delle opportunità di progettare il futuro. Straordinario comunicatore con il mondo giovanile è stato san Karol Wojtyla, eppure pare innegabile che anche l’attuale Pontefice abbia lasciato un segno particolare nei rapporti con le nuove generazioni. Un esempio su tutti, il Sinodo “dei vescovi per” i giovani, che però di fatto è stato il Sinodo “dei” giovani.
E infine, tutto l’universo dei “lontani”, che possono essere i credenti delle altre religioni, o gli atei, ma anche le famiglie cattoliche in situazioni irregolari. Papa Francesco ha scandalizzato molti con la Amoris laetitia; ha scandalizzato andando in Svezia a pregare in una chiesa luterana; ha firmato un impensabile (in passato) Documento sulla fratellanza insieme a un alto esponente del mondo islamico, il Grande imam di Al-Azhar.
Il Giubileo della Misericordia, celebrato tra il 2015 e il 2016, probabilmente è stato il momento di massima sintesi dell’ideale bergogliano. Durante l’anno santo la parola “misericordia” rimbalzava da una parte all’altra. Poi, “passata ’a festa” e arrivando nuovi slogan, non tutti hanno continuato a ripetere e a vivere quella misericordia, ma Jorge Mario Bergoglio sicuramente sì.
Dario Rivarossa