Papa e Vescovi per l’occupazione

L’editoriale

I Vescovi umbri hanno scritto al Presidente del Consiglio (vedi pag. 3). A qualcuno non sta bene: “Vescovi e preti facciano il loro mestiere, che è quello di predicare e celebrare messe. Non si immischino in questioni sociali così spinose, e soprattutto delle quali non si intendono”. Mi ricorda, questa posizione, una riunione con un anziano intellettuale ex cattolico passato all’islam, al quale fu chiesto perché i ricchi musulmani non aiutassero i loro fratelli che si trovano nella miseria, lasciandolo fare alla Caritas e alle organizzazioni cattoliche. La risposta non fu di ordine contingente, tipo: non siamo organizzati o non siamo in grado di sostenere la spesa. Disse semplicemente: “L’islam è una religione, non un’associazione filantropica”. Questa dichiarazione, fatta tra l’altro in una pubblica riunione, destò qualche preoccupazione in altri partecipanti musulmani, che corsero a correggere quelle parole parlando di accoglienza nei loro Paesi e di elemosina che è uno dei cinque pilastri dell’islam. Questa storia credo di averla già raccontata ai nosri lettori, ma mi torna sempre in mente ogni volta che si parla della dimensione sociale della religioni, e del cristianesimo in particolare. Vi sono religioni e spiritualità disincarnate, mistiche, che hanno per riferimento più Dio che le sue creature e pensano che le creature disturbino o allontanino da Dio. Danno allo spirito tutto lo spazio e tutte le proprie energie e le iniziative devozionali, dedicandovi tutte le risorse anche economiche. Preferiscono costruire tempi, chiese piuttosto che case. Non è certo un fenomeno predominante oggi in Occidente. È certamente vero piuttosto il contrario. Si dice che i preti siano diventati operatori sociali. Il Papa insiste nel dire che il primo dono della carità da portare agli uomini è Cristo (Caritas in veritate). E allora? Cosa si vuol dire? I Vescovi fanno bene o male? La risposta sta nei modi e nei tempi, nelle circostanze storiche. A categorie di persone dominate dalla frenesia del mercato, per cui il profitto è l’unico vero scopo della vita e il denaro l’unico valore capace di appagare ogni desiderio e giustificare ogni attività, si deve alzare la voce profetica e predicare il Qohelet, l’inno alla carità, la conversione con le terribili parole del Battista. Ai poveri dimenticati da tutti, ai disoccupati che si trovano sull’orlo di un abisso di disperazione, come non sentire il dovere di dare una mano e fare tutto ciò che è possibile? I Vescovi, per tamponare situazioni estreme, hanno provveduto a istituire un Fondo di solidarietà. Ora scrivono alle autorità. Fanno l’indispensabile. La Chiesa è nel mondo, non fuori; tra gli uomini, non altrove; incarnata, non evanescente. Chi vive una religiosità emotiva ed alineante, e quei cristiani che hanno risorse e poteri si mettano alla sequela dei vescovi, facciano anch’essi qualcosa, paghino almeno le tasse per sostenere lo Stato a funzionare a dovere; e i politici si pieghino alle necessità della gente che soffre per la povertà e la malattia. È sempre da ricordare che il lavoro non è solo denaro, ma vita (Laborem exercens), dà senso alla vita, dignità alla persona, la mette nel circolo vitale della società che produce, crea servizi e si pone in relazione positiva con gli altri. La nostra è la Chiesa del Verbo incarnato, Gesù, che passava per i villaggi predicando e facendo del bene ad ognuno.

AUTORE: Elio Bromuri