“Se il Concilio non tratta espressamente della fede, ne parla ad ogni pagina, ne riconosce il carattere vitale e soprannaturale, la suppone integra e forte, e costruisce su di essa le sue dottrine”. L’affermazione di Paolo VI (udienza generale 8 marzo 1967), citata nell’introduzione a Lumen fidei, rafforza il timbro di etymologia e genealogia fidei che Papa Francesco dà alla sua enciclica, nella quale dichiaratamente “assume” la prima stesura di Benedetto XVI, nonché l’accento sulla continuità ecclesiale e l’indissolubile “intreccio” tra fede, speranza e carità.
Proprio la “luce potente che consente di illuminare il cammino di una vita riuscita e feconda, piena di frutto” (LF 7) disegna il profilo di Papa Paolo VI, quale emerge nella monografia Montini, numero speciale a cura di Francesco M. Valiante pubblicato da L’Osservatore Romano il 21 giugno 2013, con ricco apparato iconografico e documentario ricavato, con taglio originale, in gran parte dagli archivi dello stesso giornale e dell’Istituto Paolo VI di Brescia.
È interessante leggere specularmente l’enciclica recentissima e la figura di Paolo VI, tutta da riscoprire. Non c’è miglior “testo a fronte” della storia per misurare la profezia, sembra suggerire in premessa Giovanni Maria Vian, direttore de L’Osservatore Romano, storico e filologo, quando collega il “primo dei cardinali di Giovanni XXIII”, Giovanni Battista Montini, con “l’ultimo cardinale” di Paolo VI, Joseph Ratzinger. La vita del “successore di Pietro con il nome di Paolo”, insomma, si rivela assai meno “linea spezzata” di quanto lo stesso Montini ritenesse.
“L’assillo costante di essere testimone di Cristo nel mondo moderno” lo rese inseparabile dall’uno e dall’altro, anche e soprattutto quando, come nell’ultima omelia al Concilio (7 dicembre 1965), considerava “l’eterno bifronte…: la miseria e la grandezza dell’uomo, il suo male profondo, innegabile, da se stesso inguaribile, ed il suo bene superstite, sempre segnato di arcana bellezza e di invitta sovranità”.
Sublime ritratto di Paolo VI “alla luce della fede” è l’omelia – oggi rivelatrice – con cui il 10 agosto 1978 Joseph Ratzinger, allora cardinale arcivescovo di Monaco e Frisinga, ne celebrò il transito al Cielo nel giorno della Trasfigurazione, richiamando sia la centralità di tale festa nella Chiesa d’Oriente amata da Montini, sia l’equivalente nel greco neotestamentario: “trasformazione”, in special modo tra morte e vita. Chi, come Ratzinger, ha incontrato Paolo VI negli ultimi anni, “ha potuto sperimentare in modo diretto la straordinaria metamorfosi della fede, la sua forza trasfigurante. Si poteva vedere quanto l’uomo, che per sua natura era un intellettuale, si consegnava giorno dopo giorno a Cristo”. Ricordandolo come “il primo Papa a essersi recato in tutti i Continenti”, Ratzinger ne eleva il gesto abituale a icona della missione ecclesiale guidata da Dio: “La fede convinta non chiude, ma apre. Alla fine, la nostra memoria conserva l’immagine di un uomo che tende le mani”.