In questo tempo di pandemia, non essendo proprietario di cani, da qualche settimana guardo con un certo risentimento quelli che vanno a spasso con il cane – di fatto, tutto il tempo che vogliono – mentre io non posso portare a spasso me stesso. Ma queste regole apparentemente balorde rispondono a una certa logica che però non viene spiegata abbastanza.
La logica del rischio epidemico, che si basa sulla matematica e sulla statistica, specialmente con un virus come questo, che si trasmette con dannata facilità anche senza contatti diretti fra le persone. Il rischio epidemico aumenta vertiginosamente quanto più la gente va in giro, si mescola, diventa fitta. Se in uno dei nostri centri storici circolano 100 persone, c’è un indice di rischio “x”. Se nella stessa area le persone diventano mille (dieci volte tanto) il fattore di rischio aumenta, ma non di dieci volte: aumenta di cento o di mille.
Quindi ogni persona in più aggrava il rischio, di quasi niente finché resta una, ma di tantissimo se le persone, una dopo l’altra, diventano tante e sempre più fitte. E dal punto di vista dell’epidemiologo non fa nessuna differenza se il tizio che va in giro è uno spacciatore di droga o un volontario della Caritas che porta cibo ai senzatetto.
Uno vale uno
Uno vale uno davvero, in questo caso. L’ideale, per cancellare il virus, sarebbe tenere tutti fermi e al chiuso, ma proprio tutti senza nessuna eccezione, per almeno due o tre settimane.
Chiaramente non è possibile perché la gente morirebbe di fame nelle case. Quindi bisogna cercare il difficile equilibrio fra l’esigenza che in giro ci sia meno gente possibile, e quella di lasciare che qualcuno circoli per assicurare i servizi di base, come la cura dei malati, la produzione e il commercio degli alimentari, e poco altro. Sapendo però che c’è una soglia – io non so qual è ma qualcuno lo sa – che non si può superare perché altrimenti il contagio esplode, come la peste di Milano nei Promessi Sposi. Si torna sempre allo stesso concetto: non si può garantire tutto a tutti e sempre; alla fine arriva il momento delle scelte difficili e dolorose.
Pier Giorgio Lignani