Di tredici versetti, il brano evangelico che oggi la liturgia pone alla nostra attenzione è un vero e proprio “blocco letterario” dedicato all’insegnamento sulla preghiera, nel quale predomina la formula del Padre nostro. Anche se il brano è davvero noto, “ogni volta che si riprende in mano ci si trova disarmati e smarriti come di fronte a qualcosa che non conosciamo ancora” (Carlo Maria Martini, Itinerario di preghiera con l’evangelista Luca, Paoline 1987). La nostra pericope è facilmente scomponibile in tre parti: la preghiera del Pater (11,2-4), una parabola (11,5-8) e una parenesi sulla perseveranza nel pregare (11,9-13).
Quello che invece subito ci sorprende è che per Luca l’oggetto della preghiera, ciò che si deve chiedere, così come emerge dall’ultimo versetto della pericope (11,13), non è il pane (il termine ricorre qui tre volte), o qualcos’altro con la stessa funzione (del pesce, o un uovo): sono solo esempi. Piuttosto, ciò che il cristiano deve domandare insistentemente è lo Spirito santo. Anche se solo alla fine, con parole che chiariscono tutto quello che precede, viene sgombrato il campo da un possibile fraintendimento: “La preghiera non deve essere considerata un mezzo per fare pressione su Dio e ottenere che Egli ceda dinanzi a desideri umani. Solo la preghiera che apre l’uomo all’azione dello Spirito, un’azione che lo conforma ai desideri di Dio e alle esigenze del suo Regno, è autentica” (J. Dupont).
Lo sfondo che fa da pretesto all’insegnamento del Pater è diverso rispetto a quella di Matteo (6,9-13), dove Gesù sta parlando nel bel mezzo del “discorso della montagna”. Qui invece Gesù si trova in un luogo a pregare. Situazione tipica in Luca, secondo il quale i discepoli vogliono imparare a pregare, come quelli di Giovanni: questi, infatti, come già dicevano i farisei, “digiunano spesso e fanno orazioni” (Lc 5,33). La preghiera del Pater ci è stata tramandata in due versioni: quella liturgicamente più usata, di Matteo (sette domande), e il nostro testo lucano, più breve (cinque domande). La seconda potrebbe essere la più antica, infatti l’uso liturgico può aver portato ad ampliamenti e spiegazioni; inoltre, non ci spiegheremmo l’omissione di due domande da parte di Luca, se le avesse trovate nella sua fonte. La nostra preghiera si trova anche nel primitivo scritto cristiano della Didachè.
Tutte e due le versioni sono divisibili in parti: nella prima le suppliche sono incentrate su Dio: è Dio stesso che deve agire in modo da essere santificato ed egli solo può far venire il Regno; nella seconda invece le preghiere riguardano i bisogni essenziali di ogni uomo e del credente. Padre, sia santificato il tuo nome. A tutte e due le parti è fatto precedere un presupposto di fede: Dio può essere chiamato col nome di Padre. La santificazione del nome è qualcosa che può sfuggire alla nostra moderna mentalità occidentale, perché tipica della cultura ebraica. “Dal momento che il nome (e la realtà) di Dio che Gesù rivela è quello di Padre, una traduzione più adeguata sarebbe forse: Fatti riconoscere come Padre. Si potrebbe parafrasare questa prima richiesta nel modo seguente: ‘Possano tutti riconoscere che hanno un Padre che è la sorgente del loro essere, che vuole essere il bene e la crescita di tutti, e che invita ciascuno in particolare a collocarsi di fronte a lui come un figlio'” (Dumais).
Insomma, dobbiamo pregare affinché il Padre venga riconosciuto da tutti gli uomini nella sua santità, la sua assoluta alterità e differenza dalle cose create, e anche da noi stessi. Quest’idea è più esplicita nella versione matteana: lì Dio è Padre, ma è “quello nei cieli”, vale a dire in una dimensione totalmente diversa da quella in cui è l’uomo. Con questa prima frase del Pater, però, la distanza si raccorcia, e noi “esprimiamo anche la nostra intenzione di cooperare a questa santificazione del Padre mediante una vita conforme a quello che egli è e a ciò che egli vuole dai suoi figli, nella linea di Lv 19,2: ‘Siate santi perché io sono santo'” (Id.). Venga il tuo Regno. Con Gesù, la realtà del Regno è già iniziata, ma non ha raggiunto ancora il suo fine. Dobbiamo ancora pregare in questo modo: “Il regno di Dio, già presente mediante Gesù, giunga presto a compimento, perché è ‘giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo’ (Rm 14,17). Cristo è venuto per il bene degli uomini, perché ‘abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza’ (Gv 10,10). Tutte le creature saranno pienamente se stesse, quando egli le ricondurrà definitivamente al Padre. Che la storia si affretti a camminare verso l’ultimo traguardo!” (La verità vi farà liberi, Catechismo degli adulti Cei, 1007).
Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano… Le rimanenti richieste hanno come angolo di visuale quelle che sono le nostre quotidiane necessità, che non sono solo quelle relative alla vita fisica, ma che toccano anche la vita dell’anima, come il bisogno di perdonare ed essere perdonati, oppure di essere salvaguardati nella prova. La paternità di Dio copre ogni ambito della vita; ciò che importa è che l’uomo se ne renda conto e si presenti al Padre, con fiducia, attendendo da lui ogni dono: innanzi tutto la grazia dello Spirito.