Si prepara a celebrare i cinquant’anni di ordinazione sacerdotale e lo fa con un ‘carico’ di espressioni di affetto, giuntegli da ogni dove, più denso di quanto non si aspettasse, complice il ricovero in ospedale che lo ha tenuto lontano dalla sua Chiesa per un paio di settimane, e in convalescenza per un mese. Mons. Giuseppe Chiaretti, classe 1933, a 22 anni viene ordinato a Leonessa, suo paese natale, l’8 dicembre.
Mi riceve nel suo studio appena restituito all’uso dopo i lavori di restauro. Si sente ancora odore di calce. Mi indica un antico decoro medievale su un arco riaperto con il restauro, mostra la stanza archivio dove ha già portato le sue ‘carte’ e il quadro del suo predecessore Gioacchino Pecci, poi Papa Leone, al quale ha dedicato importanti convegni di studio. Infine si siede alla sua scrivania e parla dei suoi programmi pastorali, del sinodo diocesano che sta muovendo i primi passi con la commissione preparatoria. ‘La nuova evangelizzazione è il tema decennale che ho proposto alla diocesi’ e di questo si occuperà il Sinodo.
Dopo 50 anni di sacerdozio è qui la sua ansia pastorale: portare il vangelo a chi non crede o non lo conosce. Il che non è molto lontano dal suo sentirsi prete.
Gli chiedo: cosa direbbe ad un giovane per convincerlo a farsi prete? Un attimo di silenzio, poi: ‘Per me essere prete è essere parroco, cioè padre nella fede di una comunità’. E aggiunge il ricordo del suo maestro di seminario che invitava a pregare ‘per la piccola parrocchia che sta sul cucuzzolo della montagna’. ‘Ho il mito della parrocchia di montagna, e mi toccò di andarci più volte’, e scherza su questo ‘legame’ geografico che lo vede vescovo prima di Ripatransone – Montalto e poi di Perugia che pure non sta in pianura. Lui è nato in montagna e lì, da bambino, ha scelto di entrare in seminario, negli anni della guerra. Era l’ottobre del ’44. Suo padre gli chiese se non volesse farsi frate. ‘In casa c’erano pochi soldi e dai frati non si pagava la retta, ma io gli disi che volevo farmi prete’.
E la risposta di suo padre a lui, bambino di undici anni, l’ha ancora scolpita nel cuore: ‘Se questa è la tua volontà la rispetto’. Pochi mesi prima, il 7 aprile 1944, venerdì santo, verso le tre del pomeriggio suo zio don Fulgenzio venne fucilato dai nazisti. Un evento che lo segna. Una data che torna. lo stesso giorno intorno alla stessa ora 39 anni dopo viene dato l’annuncio della sua nomina a vescovo. ‘Non faccio congetture – aggiunge – ma è una coincidenza che mi fa pensare’. ‘La vita di prete è bellissima. Non è senza la fatica di un credere che si rinnova ogni giorno, ma la vita è una lotta continua’ Io arrivavo a fine giornata stanchissimo ma contento’.
E da vescovo è lo stesso? ‘Da vescovo ci sono altri problemi’. Risponde con un respiro profondo quasi a raccogliere le forze. Cosa lo angustia lo dice subito. I sacerdoti muoiono. ‘Devo mandare nelle parrocchie, ma chi manderò?’. I seminaristi non sono molti e le vocazioni sono poche anche tra i religiosi che con le comunità chiudono le loro opere. Tutto ciò lo angustia.
Vorrebbe raggiungere tutti, dialogare con tutti, annunciare a tutti, e ai lontani, il vangelo, ancor più oggi che capita di incontrare italiani battezzati, convertiti all’islam. Il mondo è cambiato in questi cinquant’anni. L’8 dicembre, giorno della sua ordinazione presbiterale, è anche il quarantesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II. Cosa lo ha segnato di più di questo grande evento? ‘Il Concilio stesso. Ho cercato di capirlo dal di dentro’.
Da vicario generale di Spoleto negli anni del dopo Concilio già sperimenta quella responsabilità che poi assumerà in pieno da Vescovo. Molto, da allora è cambiato. Se meno persone vanno in chiesa più consapevole e partecipato è il loro starci. È un segno di una Chiesa che non muore. È questa la sua speranza, radicata sulla fede e sui segni dei tempi. Ha voluto rappresentata nel suo stemma episcopale: l’àncora ferma e stabile nel mare della storia.
Un cinquantesimo da celebrare in occasione del giubileo sacerdotale del nostro arcivescovo, è stato stilato un programma di massima delle varie iniziative.
Sabato 3 dicembre, ore 17, Auditorium Marianum (corso Cavour, 184, Perugia), concerto in onore di mons. Giuseppe Chiaretti. All’organo Mario Duella.
Mercoledì 7, alle 21, nella cattedrale di San Lorenzo concerto del Coro polifonico ‘San Faustino – Frescobaldi’ diretto dal M’don Francesco Spingola; della corale Laurenziana ‘R. Casimiri’ e il la schola cantorum ‘O. Magnoni’ di Castel Rigone. All’organo Francesco Prelati diretti dal M’don Francesco Bastianoni.
Nell’intervallo presentazione del volume ‘Percorsi di nuova evangelizzazione’, che raccoglie le lettere pastorali di mons. Giuseppe Chiaretti dal 1996 al 2005. Il volume è stato curato dal vicario generale mons. Gualtiero Sigismondi.
Giovedì 8, alle 18, in cattedrale, mons. Chiaretti presiederà la solenne concelebrazione eucaristica ‘giubilare’, cui parteciperanno i vescovi umbri e originari della regione.
Sabato 10, alle 21, Sala dei Notari. Per gli ‘Auguri alla città’ mons. Angelo Comastri, vicario di Sua Santità per la Città del Vaticano, parlerà del senso della fede e della ricerca di Dio oggi.
Domenica 11, l’arcivescovo si recherà a Leonessa (RI), sua città natale per celebrare l’Eucaristica nella chiesa parrocchiale di Santa Maria del Popolo, ove ricevette l’ordinazione presbiterale l’8 dicembre 1955.
Nella circostanza farà dono al santuario di San Giuseppe da Leonessa di un pregevole crocifisso in bronzo, opera dello scultore marchigiano Pericle Fazzini, donatogli dalla comunità diocesana di San Benedetto del Tronto nel 1983, all’inizio del suo ministero episcopale.