Un amore senza limiti, raccontato attraverso la parabola di un padre che ha due figli a cui non mancherebbe niente: affetto, sicurezza, beni materiali. Ma il maggiore è fin troppo sottomesso, schiavo dei doveri, mentre il minore un giorno pretende la sua parte di eredità – come se il padre fosse morto! – e se ne va sbattendo la porta. Così inizia una vita da sballo, cercando felicità nei piaceri, finché il suo castello di sabbia crolla: i soldi finiscono e si ritrova a vivere peggio di un animale. Ma quando tocca il fondo, si apre la sua mente: “Io qui muoio di fame” e inizia il viaggio di ritorno. Non torna per amore, né perché è pentito; torna per fame.
Come un mendicante prepara le parole da dire, non osa più cercare un padre: “Trattami come un servo”, gli basta almeno un buon padrone. Ma ecco il colpo di scena: il padre lo vede arrivare da lontano, gli corre incontro e lo stringe in un abbraccio intenso, più eloquente di tante parole. Non mostra rancore, non pretende scuse, ma lo avvolge di amore senza fargli nemmeno finire il discorso, perché non gli importa rinfacciare ma soltanto abbracciare. E in un attimo, senza punizioni, senza nessuna lavata di capo, riammette il giovane con la sua dignità di figlio! Quanta fretta di vestirlo con gli abiti della festa, mettergli l’anello, i calzari e preparare una grande banchetto!
Un comportamento assolutamente esagerato, quello del padre. Ma che significa ‘esagerare’ quando si ama? Dice sant’Agostino: la misura dell’amore è amare senza misura. Allora Dio è così? Così eccessivo, così esagerato nell’amore? Sì, il Dio in cui crediamo è così. L’obiettivo della parabola è quello di farci cambiare l’opinione che abbiamo di Dio. Il centro del brano è un Padre ricco di misericordia (Ef 2,4), che ama senza misura, fino a ‘perdere la testa’ quando un figlio ritorna a Lui; che ama in modo illogico, quasi ingiusto. Sembra di leggere il Magnificat: lo straccione viene vestito, l’umiliato viene innalzato, l’affamato è ricolmato di beni, tutto per amore si capovolge. Ma c’è di più: come mai nel racconto manca la figura della madre? Perché Dio ama come un padre e come una madre. Il pittore Rembrandt, nell’opera Il Ritorno del figlio prodigo, dipinge il padre che abbraccia il figlio con una mano femminile e una maschile per indicare che l’amore di Dio è materno, ossia è tenerezza, cura, accoglienza, comprensione, amore intimo, viscerale; e anche paterno, cioè fedele, stabile, sicuro, che non si rassegna.
Un padre con il cuore di madre che, al solo rivedere il figlio, freme facendo esplodere tutta la sua compassione (v. 20 il verbo greco è splanchìzomai = commuoversi profondamente, con un fremito nelle viscere). La parabola allora mi proietta nella dimensione di un amore straordinario e nutre la mia fede: ad esempio, mi fa capire che il sacramento della riconciliazione non è un momento da temere, è un tuffarmi nell’abbraccio di Dio che mi aspetta per guarirmi, restituirmi la dignità di figlio, darmi la forza di cambiare. La maternità nella parabola è espressa anche dall’immagine della casa, che fa da sfondo a tutto il racconto.
La casa è la madre in quanto luogo degli affetti, della tenerezza, dell’accoglienza. Nella casa si cresce, si impara a relazionarsi. Ma la casa è anche luogo di contrasti, e qui la parabola si mostra attuale evidenziando alcune delle problematiche che affliggono tutte le famiglie, soprattutto nel rapporto genitori-figli (incomprensioni, gap generazionale, rivendicazione della propria libertà da parte dei figli) e nel rapporto tra i fratelli, fatto spesso di competizione e invidia, e capace di arrivare fino all’odio per questioni di eredità. E ci invita a lasciare entrare nelle nostre case l’amore di Dio, che ama con “viscere di misericordia”, a usare in famiglia tenerezza e perdono. Diventiamo, nella nostre case misericordiosi come il Padre, come chiede il Papa nell’anno giubilare. Perché, come Gesù è il Volto della misericordia del Padre (Misericordiae Vultus, 1), possiamo essere anche noi tanti volti che rivelano e che annunciano l’infinita misericordia di Dio.
Per approfondire: M. Orsatti, “Un padre dal cuore di madre. Meditazioni”, ed Àncora,1998