Entriamo nel cuore del mistero pasquale: passione, morte, resurrezione, ascensione di Gesù, Pentecoste; e la Quaresima è una porzione di questa “ghirlanda” pasquale, in cui dominano la sobrietà e la fatica della conversione. Poi verrà la gioia, la grande gioia della Pasqua e della Pentecoste. Questa che comincia è una settimana “santa” da vivere in un serio silenzio meditativo, lasciando fuori dal nostro interesse tante cose inutili (chiacchiere, visite, incontri), per fare spazio a una riflessione più intensa sulla nostra vita spirituale e religiosa, in maniera da non rendere vana la croce di Cristo. Comincia una itineranza al seguito di Gesù, che la Chiesa accompagna con le sue celebrazioni e i suoi riti; un tempo anche più intenso e partecipato, grazie alla pietà popolare che in questa settimana raggiunge il suo acme.
La prima cosa che viene da suggerire è la partecipazione più assidua e intensa possibile alle celebrazioni che si svolgono in ogni parrocchia, e in ogni chiesa cattedrale, presiedute dal Vescovo. I riti parlano da sé e non hanno bisogno di molte spiegazioni, soprattutto nel Triduo pasquale. Si tratta d’una seguenza ininterrotta di dolore e di amore, in cui il “compianto” nasce spontaneo, ed anche la riflessione sulla qualità del proprio discepolato. Lasciamoci coinvolgere anche sensibilmente ed emotivamente dai tanti segni (fuoco, buio, silenzio, luci, canti, processioni, abluzioni, acqua, allegria…). Si parte dall’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme in groppa ad un asino, tra lo sventolio di palme e di rami d’olivo agitati dai ragazzi in segno di festa.
Ma se si ascolta bene questo tripudio di gioia, si sente già, in sordina, il crucifige, crucifige da parte anche della gente che ha visto miracoli ed ha ascoltato parole di pace e di misericordia. Ma questa è l’ora delle tenebre, che Gesù accoglie come la sua “ora” per svelarsi a tutti come il Giusto, il Misericordioso, il Santo, il Figlio dell’uomo e il Figlio di Dio, venuto da parte del Padre per farsi carico dei nostri peccati e per distruggerli con la sua passione e morte in croce, mostrando così d’aver dato tutto di sé: l’onnipotenza, la parola che salva, la vita, la Madre, la misericordia, il perdono. Noi oggi siamo al seguito di questa turba plaudente, forse più meditabondi del solito, sapendo come andrà a finire, ma con la certezza d’essere stati amati sino alla fine: “Ahi! quanto ti costò l’averci amato!”, abbiamo cantato a Natale. Ci metteremo a tavola con lui per cibarci anche noi del suo pane e del suo vino (la sua vita). Lo seguiremo nell’Orto degli olivi per assistere alla lotta spasmodica della sua umanità per entrare nella logica del Padre, che gli chiede il dono della vita per la vita del mondo. Assisteremo alla sequela di tradimenti da parte di Giuda, che vende per trenta denari Gesù ai farisei e ai capi religiosi; da parte di Pietro, che dice a una servetta di non aver mai conosciuto quell’Uomo; da parte degli apostoli che si eclissano.
A seguire Gesù nella Via crucis rimane solo un ragazzo (cf. Marco 19,51: adulescens). Ricordando quell’unico ragazzo che rimase fino alla fine per vedere la sorte dell’amico Gesù, vien voglia di dire a tutti i ragazzi e ai giovani che oggi celebrano la loro Giornata mondiale nelle diocesi (quella nelle diverse parti del mondo si tiene ogni tre anni): “Abbiate il coraggio e l’ardire di andare controcorrente in questo mondo compromesso con la menzogna, la violenza, l’egoismo, la sporcizia morale! Costruitela davvero la nuova civiltà dell’amore! Siate liberi e non prostituitevi dinanzi a nessun potentato!”. O anche, come diceva Giovanni Paolo II ad un gruppo di giovani francesi: “Raccogliete con la Chiesa la sfida dell’indifferenza religiosa! Siate felici e fieri della vostra fede! Riscopritene i fondamenti”. E sia benedetto il vostro cammino di volontari della carità, che nasce dall’intimità con il Signore e cresce con il farsi poveri tra i poveri.