In questo Anno della fede che stiamo vivendo, occasione propizia per riscoprire le radici autentiche della fede cristiana e la nostra adesione personale a Cristo Gesù, mi pare utile proporre una riflessione sulla presenza della comunità cristiana nel territorio. Come prima cosa, questa dimensione non corrisponde solo ad un fatto organizzativo o sociale; la sua azione pastorale non è solo una tecnica di psicologia di massa; la comunità cristiana è il risultato dell’annuncio della Buona Novella e si concretizza e si rende visibile in un’assemblea di discepoli di Gesù. Dunque, il nostro “stare insieme” costituisce un “fatto spirituale”, nel senso vivo e creativo del termine, un fatto, cioè, che ha a che fare con lo Spirito santo, che crea e ordina gli avvenimenti: sappiamo che lo Spirito di Dio ci invita ad interpretare il momento presente per discernere il cammino da intraprendere e ci conduce ad aprire noi stessi e quanti incontriamo all’opera della salvezza, divenendo costruttori di comunità cristiane. Sappiamo bene, inoltre, come in tutta la storia della salvezza si nota una stretta connessione tra la parola di Dio e il popolo di Dio. Secondo gli Atti degli apostoli, infatti, la Chiesa cresce se cresce la Parola, di cui in modo particolare gli apostoli sono “i servitori”. Se la Chiesa nasce con la Parola, si comprende facilmente come il primo gesto di una comunità cristiana sia quello di raccogliersi attorno ad essa e di ascoltare ciò che essa dice: attraverso il testo sacro Dio parla “oggi” indicando il cammino da seguire. Bisogna ritornare alla Parola per ascoltare insieme, per ricevere insieme, per cercare insieme, nella stessa comunità di salvezza. All’ascolto della Parola di Dio, poi, dovrà far seguito l’impegno a trasformare in preghiera quanto si è ascoltato. Alla perdita della preghiera si accompagna spesso la perdita dell’identità cristiana e quindi della fede. Naturalmente, la preghiera non è l’unica risposta dell’uomo alla parola di Dio. Come la rivelazione di Dio avviene con “fatti e parole”, così anche la risposta dell’uomo deve avvenire nella preghiera e nell’azione.
L’Anno della fede ci chiama, dunque, a divenire operai convinti della nuova evangelizzazione: è il mandato antico e sempre nuovo che Gesù affida alla sua Chiesa come grave dovere affinché il Vangelo possa raggiungere ogni uomo. Ciò responsabilizza tutti i credenti a trovare vie nuove ed adeguate per l’annuncio del Vangelo al mondo di oggi. L’amore per il Dio incontrato lungo la strada della vita stimola per natura sua il desiderio di una sempre migliore sua conoscenza; e quest’ultima non potrà che andare di pari passo con la carità, perché il Dio conosciuto è il Dio incontrato nel fratello, specie il più bisognoso. Questo percorso ci farà diventare nuovi evangelizzatori, capaci cioè di “dire Gesù” all’uomo di oggi. Una comunità che crede diventa così il luogo ideale per sostenere la crescita di ciascuno. In essa i più deboli troveranno il conforto nei più forti, il loro aiuto e il loro sostegno sarà l’espressione concreta della fraternità e dell’unità alla quale siamo invitati. Formazione adeguata, carità vissuta, comunione realizzata a tutti i livelli sono il punto di partenza irrinunciabile per il percorso della nuova evangelizzazione, nella consapevolezza che Gesù ricerca anche oggi dei discepoli che riescano a decifrare nel cuore della gente, nelle loro gioie e nelle loro paure, la voglia di accostarsi a lui e di incontrarlo. Sono, infine, convinto che bisogna, oggi più che mai, unire testimonianza personale ed ecclesiale. Non può esserci quest’ultima senza investimento personale, ma esso non ha senso se non è legato ad altri, ad una comunità, al Corpo di Cristo che è la Chiesa.