L’aiuto economico all’inizio è fondamentale, è un segno insostituibile di speranza per una famiglia che sta veramente annegando. Nel frattempo abbiamo il dovere morale, tutti, di cambiare sistema, di mettere in atto una filosofia diversa che coinvolga ogni aspetto della nostra vita, dalla religione alla politica all’economia. Lascio ai politici e agli economisti la scelta responsabile che riguarda la loro competenza. Mi fermo a sottolineare la responsabilità di noi cristiani in questo frangente, per offrire a questo mondo qualche segno di speranza. In ogni epoca la Chiesa ha tentato le sue risposte molto concrete alla crisi dei poveri. Fin dall’inizio ha adottato uno stile di vita, di condivisione, che rispondesse alle necessità dei più bisognosi, “perché nella comunità nessuno fosse nella miseria” (cfr. Atti 4, 34). Per questo ha anche istituito il “diaconato” (cfr. Atti 6, 5-6), perché il servizio dell’amore del prossimo esercitato comunitariamente e in modo ordinato facesse parte della struttura fondamentale della Chiesa (cfr. Benedetto XVI, Deus caritas est, 21). Oggi questa crisi profonda e internazionale, che penalizza soprattutto i poveri, ci interpella direttamente come credenti e ci chiede di inventare qualcosa di nuovo che risponda alla nostra missione di sempre. È una questione culturale e perciò educativa; fa parte essenziale dell’evangelizzazione della Chiesa e deve trovarci tutti coinvolti sia sul piano educativo che sul piano pratico, delle scelte dimostrative. Abbiamo bisogno di essere rieducati allo stile evangelico, ben riassunto nel brano di Matteo che abbiamo letto nella liturgia della scorsa settimana: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo…” (Mt 6, 24-34). Questo spirito ci deve portare a scelte concrete molto diverse dal solito consumismo. Così la domenica, quando usciamo dal banchetto eucaristico, abbiamo molte più risorse da distribuire e non rispondiamo con la solita giustificazione: “Non abbiamo i soldi per comprare il pane per tutti”, o peggio, “dobbiamo forse andare noi a comprare da mangiare per tutti?”. Uno stile di vita più sobrio ci renderebbe più liberi e più capaci di soccorrere chi è veramente nel bisogno. Lo stile “eucaristico” porterebbe veramente a un’umanità più vera e fraterna. Questo è il vero significato del precetto domenicale. Se non andiamo a messa la domenica nel significato più pieno, i poveri rimangono sempre tagliati fuori e non serve spalleggiarci tra istituzioni. A chi tocca? A tutti. A noi cristiani senz’altro, e non dobbiamo aspettare che intervenga lo Stato, la Regione o la Provincia o il Comune. Glielo ricorderemo con insistenza, lo grideremo pure, ma intanto non possiamo tirarci indietro, perché la Parola comanda quotidianamente e la Cena esige la distribuzione, nell’attesa che tutta l’umanità diventi più vera e capisca la testimonianza di chi ci crede.
Oltre il Fondo di solidarietà
Parola di vescovo
AUTORE:
† Giovanni Scanavino