Ventuno giugno 2012: 63 anni fa, il 21 giugno 1949, all’età di undici anni, per la festa di san Luigi Gonzaga protettore dei seminaristi, pronunciai la mia prima omelia. Nella cappella del Venerabile Seminario Vescovile di Gubbio. Avevo imparato a memoria, e dissi con bella grazia, tutto d’un fiato, senza inciampare, un panegirico del Santo recuperato da un rigattiere di robe di chiesa. Il santo della purezza. “O vago giglio / in ciel aulente, / simbol fulgente / sei di candor!”. I nostri educatori, in vista dell’acquisizione di un equilibrio interiore non facile ma indispensabile, puntavano a demonizzare, a beneficio di noi adolescenti, la prassi che diversi di noi praticavano segretamente come una specie di apertura alla vita. Luigi, santo della Purezza. Ed effettivamente il figlio maggiore del Marchese di Mantova fu esemplare da questo punto di vista. Lo fu quando, come erede al titolo di marchese, si tentò invano di educarlo alla vita militare, mentre in lui si manifestava precocissima (a sette anni!) quella che poi egli avrebbe chiamato “la mia conversione dal mondo a Dio”, una nettissima propensione alla vita religiosa, mentre le armi si arrugginivano in qualche angolo dell’avito maniero. Lo fu nel periodo che trascorse alla corte di Francesco I de’ Medici, a Firenze, dove fece il suo voto di verginità. Lo fu quando, paggio tredicenne del Principino Diego, accompagnò a Madrid per due anni suo padre, che era al servizio di Filippo II di Spagna, il cupo imperatore del cupo “Monasterio de el Escorial”. Lo fu nelle varie Corti dove suo padre lo inviò nella vana speranza che qualche Belèm Rodriguez lo inziasse la culto delle farfalle, alternativo al proposito di farsi gesuita. Flop. A 17 anni Luigi, nel noviziato della Compagnia di Gesù a Roma, già studiava con grande impegno filosofia e teologia, nella gioiosa prospettiva di un lungo servizio al Signore con la divisa di Ignazio (no, non La Russa!). E invece… nel 1590-91 a Roma migliaia di persone morirono per una serie di malattie infettive che (come nei Promessi Sposi) stentarono ad ottenere il loro nome proprio; dovettero morire, uno via l’altro, tre Papi (Sisto V, Urbano VII, Gregorio XIV) perché quel nome venisse a galla: peste. L’esile Luigi, insieme al gigantesco Camillo de Lellis e ad alcuni confratelli bene in carne, s’impegnò fino alla morte nell’assistenza ai più bisognosi. “Tu puoi occuparti solo dei malati non contagiosi!”. Ma quando Luigi trovò in strada un appestato, non riuscì a resistere: se lo caricò in spalla e lo portò in ospedale. Svuotato di forze, crollò ed entrò subito in agonia e morì. A 23 anni. Colendissimo lettore, lo sai che quest’ultima parte della storia di san Luigi l’ho conosciuta nei dettagli solo a 63 anni dal mio primo panegirico su di lui? Anche il proprium della messa della sua festa la lascia appena intravedere, come cosa non troppo importante. Sei d’accordo?