Come rilevava Samuel P. Huntington nel libro che lo ha reso forse più famoso, cioè The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order (1996), dopo la fine dei grandi conflitti ideologici del ‘900 si è andato profilando, tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI, un orizzonte nuovo al centro del quale non sta più il contrasto tra ideologie e tra Stati-nazione, ma tra ‘civiltà’, le più importanti delle quali sono, a suo avviso, l’islamica, la slavo-ortodossa, la confuciana, l’indù, la giapponese, l’occidentale. I nuovi scenari del mondo post-ideologico debbono essere considerati, per Huntington, come manifestazioni dei conflitti culturali che nascono inevitabilmente nel momento in cui queste civiltà vengono strettamente a contatto nel contesto creato dalla globalizzazione. Il confronto tra gli Stati nazionali, che per Huntington continueranno a essere comunque soggetti cruciali a livello mondiale, sarà quindi sempre più determinato dalle tradizioni culturali, rispetto alle quali l’impatto dei fattori ideologici ed economici deve essere considerato, a parere del politologo statunitense, in posizione subordinata, anche se per nulla irrilevante (vedi il caso-Cina). È evidente che il concetto di ‘civiltà’ come fulcro dell’analisi delle relazioni internazionali amplia la prospettiva rispetto al concetto tradizionale di ‘ideologia’, in quanto indica un complesso di mentalità, costumi, usi, credenze, abitudini, stili di vita molto più ampio di quello che riusciva ad abbracciare la categoria di ‘ideologia’, giacché quest’ultima è sempre stata caratterizzata da una preminenza del significato politico rispetto a tutti gli altri. Un’analisi del mondo in termini di confronto-scontro tra ‘civiltà’ comporta quindi recuperare una tradizione culturale connotata in senso chiaramente anti-marxista e che si rifà piuttosto alla lezione di Oswald Spengler, che nel suo Tramonto dell’Occidente (1918-1922) ha delineato un modello interpretativo di cui Huntington ha tenuto sempre grande conto, insieme a quello di Arnold Toynbee. Certo la proposta teorica di Huntington ha avuto il merito di mettere in risalto il cambiamento di prospettiva a partire dal quale oggi possiamo guardare realisticamente le relazioni internazionali e il significato profondo dei conflitti in atto. Inoltre offre il vantaggio di sgomberare il campo da categorie interpretative ormai obsolete. Eppure non si può negare che questa posizione lascia aperti numerosi interrogativi. Innanzitutto ci si può chiedere se l’idea secondo cui la competizione tra ‘civiltà’ è oggi il fulcro della situazione in cui ci troviamo debba essere vista necessariamente come incompatibile con quella secondo la quale al centro del nostro mondo globalizzato sta ancora, malgrado tutto, il fattore economico-finanziario. La recente crisi dei mercati internazionali dimostra che le componenti costituite da economia e ‘cultura’ non possono essere considerate tali per cui si debba sostituire l’una all’altra o stabilire una rigida gerarchia tra le due. Purtroppo il nostro mondo globalizzato sembra essere attraversato da conflitti in cui tradizioni diverse (e spesso alternative) di civiltà e disequilibri nella distribuzione delle risorse economiche contribuiscono entrambi a generare contrasti che minano seriamente la possibilità di un ordine internazionale che sia giusto e pacifico. Sarebbe probabilmente errato non vedere, per esempio, come a fondamento di molti aspetti che noi classifichiamo come legati a scontri di civiltà stiano anche profonde e gravi motivazioni (e sperequazioni) economico-sociali. C’è poi da osservare che all’analisi puntuale e realistica dei fenomeni culturali offerta in The Clash of Civilizations non segue una proposta in positivo altrettanto convincente circa il modo di avviare a soluzione i problemi sul tappeto in questo campo. Infatti la categoria che domina tutto il pensiero di Huntington è quella di ‘scontro’, che si basa sulla convinzione secondo la quale esiste, in ultima analisi, uno spesso margine di incomunicabilità tra le civiltà che non potrà mai essere superato nell’ambito di un’autentica integrazione multiculturale. Sebbene Huntington faccia riferimento a qualcosa come una prospettiva di ‘comunicazione e scambio’, questo aspetto è decisamente sottodimensionato rispetto al precedente. Huntington sembra avere un’idea rigida di identità culturale che rende evidentemente difficoltosa l’accettazione di una prospettiva di dialogo effettivo tra i vari soggetti portatori di tali identità. E così finisce inevitabilmente con il mettere l’accento sulla necessità di un rafforzamento dell’identità occidentale piuttosto che sulla possibilità di una fusione degli orizzonti tra le civiltà. Anche la sua idea secondo cui lo Stato-nazione, pur con tutti i limiti connessi alla sua usura storica, dovrà continuare a essere un fulcro imprescindibile delle relazioni internazionali sembra difficile da accettare di fronte all’evidente crisi che gli Stati nazionali oggi attraversano e che si fa quanto mai evidente quando si tratta di controllare e governare i grandi processi economico-finanziari che sfuggono sempre di più a ogni tentativo di autentica Governance. Si è già detto che Huntington non sottovaluta, pur ridimensionandolo, l’impatto del fattore economico-finanziario; ma la sua fedeltà ai principi del liberismo tradizionale autorizza molti dubbi sull’efficacia della sua ricetta in questo campo. Infatti se qualcosa la recente crisi finanziaria ha dimostrato è l’esaurimento storico della validità di tali principi. Se è vero che il marxismo è morto, non meno vero è che anche il liberal-liberalismo nella sua versione conservatrice, emblematicamente rappresentata dal pensiero di Huntington, mostra tutti i suoi limiti invalicabili. Forse il rischio maggiore che può nascere dalla posizione di Huntington è che la categoria di ‘civiltà’ si trasformi in una rinnovata versione dell’ ‘ideologia’, con tutte le chiusure, i dogmi, i potenziali conflittuali che ogni ideologia porta con sé, anche quando si tratta dell’ideologia ‘occidentalista’.
Nuovi scenari mondiali Lo scontro di civiltà
Nel primo numero di gennaio 1984, La Voce presentò il romanzo di Orwell '1984'. Nel primo numero di gennaio 2009 presenta il pensiero di Huntington appena scomparso.
AUTORE:
Roberto Gatti